Caccia al tesoro sulle orme di Lotto
Abbiamo appreso tutti con grande gioia che il temporaneo letargo della nostra stupenda pinacoteca volge al termine, dato che è di qualche giorno fa l’annuncio dell’avvio della stagione delle grandi mostre che riscalderanno i prossimi inverni: protagonisti assoluti Lorenzo Lotto e Raffaello Sanzio, alias Lotto e Raffaello. Del maestro urbinate si era ventilata la presenza già lo scorso febbraio, al termine del grande successo della mostra itinerante Il sarto di Moroni, che avrebbe dovuto essere articolata tra Accademia Carrara, Museo Bernareggi e Palazzo Moroni, ma poi accantonata per problemi di prestiti intermuseali. Lotto è invece una totale sorpresa, soprattutto dopo la monografica del 1998 in città (allestita nei locali dell’accademia Carrara in GAMeC) con i percorsi sul territorio e le stagioni dei Grandi Restauri promossi dalla Fondazione Credito Bergamasco che hanno visto tornare alla luce i colori delle tre grandi pale cittadine; qualcuno ha storto il naso («Sempre Lotto! Di nuovo Lotto!»). Invece noi diciamo: «Meraviglia, ancora Lotto!», perché Lotto è sempre Lotto, capace a 500 anni di distanza di richiamare folle di fan e di essere sempre nuovo, proprio come mezzo millennio fa, quando, nel 1516, giunse in città, per i Domenicani di Santo Stefano, la sua prima opera (sebbene commissionata tre anni prima da Francesco Martinengo Colleoni).
Dunque, per prepararci per tempo, diamo un ripassino in due puntate al parco opere che il maestro veneziano ha disseminato in città (pinacoteca Carrara e museo Bernareggi esclusi, per il momento) e sul territorio, vero artefice di una rivoluzione nella piccola Bergamo rientrata sotto l’influsso veneziano poco prima del suo arrivo. Consideriamo, data anche l’imminente stagione invernale, di fare una capatina a Trescore o a Celana, così come a Sedrina o Ponteranica e anche in città, per riammirare con occhio orgoglioso le gioie che abbiamo in casa, a portata di mano e ad un tiro di scoppio, prima che la mostra di dicembre 2016-febbraio 2017 ci sveli altri significati alchemici di quello che è a pieno titolo il “Genio del Rinascimento”. Partiamo dalla città.
CITTÀ ALTA
Basilica di Santa Maria Maggiore
Tarsie lignee, Antico Testamento (1524-1532)
L’esecuzione dei disegni per ornare i dorsali degli stalli del coro dei laici e dei religiosi della basilica vennero commissionati a Lotto nel 1524, mentre al maestro intarsiatore e intagliatore Francesco Capoferri, originario di Lovere ma attivo a Villongo, spettò l’esecuzione materiale degli intarsi, che richiesero l’utilizzo di oltre 100 tipi di essenze lignee. La serie comprende 76 pannelli, tra tarsie e coperti, questi ultimi a protezione delle storie bibliche narrate oltre che ricchi di rimandi alchemici ed allegorici, che anticipano la storia descritta al di sotto: 29 sono disposte entro il catino absidale, mentre le altre 4 costituiscono parte dell’iconostasi della basilica e raffigurano (da sinistra a destra) gli episodi biblici del Passaggio del Mar Rosso, Arca di Noè, Giuditta ed Oloferne, Davide e Golia.
Chiesa di San Michele al Pozzo Bianco
Storie della Vergine (1525)
Il ciclo pittorico è di grande qualità, nonostante lo spazio ridotto dell’abside abbia dovuto far adattare la narrazione a una superficie scomoda e curvilinea. Gli episodi sono concentrati sui principali momenti della vita della Vergine, a partire da quando l’anziana Anna dal suo giaciglio vede la bimba presentata ai parenti, mentre tutte le altre donne si affaccendano intorno a loro. Segue la Presentazione al tempio, le Nozze con Giuseppe che orgoglioso regge la verga fiorita, fino all’Annunciazione e alla Visitazione ad Elisabetta, anch’essa gravida seppur in tarda età, dove protagonista, oltre all’abbraccio affettuoso tra le cugine, è l’intreccio di gesti e di sguardi, che ancora oggi commuove e pare reale.
CITTÀ BASSA
Chiesa di San Bernardino
Madonna e Santi (1521)
Forse è l’opera più bella del maestro veneziano, pur nella sua semplicità, dove il tema centrale è il rapporto tra Dio e gli uomini, attraverso la madre del suo unico figlio e diffuso dai santi che sono i nostri diretti intermediari verso la Vergine e lo spirito divino, pronti a raccogliere le nostre richieste, diligentemente annotate dall’arcangelo con saio posto ai piedi del trono. Fa sorridere la corsa degli angeli nell’allestire un trono quasi improvvisato, la loro presa di scorcio, così come lascia esterefatti il precoce realismo dell’opera, tradotto nella scucitura della manica di Giuseppe, nel volto canuto e sdentato di Bernardino e nell’ormai quasi cieco Antonio abate, che si china incredulo per meglio poter riconoscere il miracolo che si sta svelando dinanzi ai propri occhi. Nella chiesa è presente anche una copia del dipinto di Lotto La Trinità, ora conservato al Museo Diocesano di Arte Sacra Adriano Bernareggi, posto salendo a metà della via.
Chiesa di Santo Spirito
Madonna e Santi (1521)
Entrando nella chiesa, forse tra le più sorprendenti dei borghi di Bergamo, troviamo la pala placidamente adagiata nella quarta cappella destra, fresca di restauro, che ne ha restituito i toni pastello e quella gamma cromatica che solo gli angeli possono intonare con le loro musiche ed i loro canti. Vergine e bimbo vengono adorati da una superba Santa Caterina, da un generoso Agostino e dai sempre compiti Sebastiano e Antonio Abate, patrono del borgo, mentre un insolito San Giovannino gioca spensierato in calce al trono, avviluppando un agnellino, che invece ne prefigura il triste destino. La scena sprofonda in uno stupendo paesaggio, teatro della sinfonia cromatica e musicale che si sta intonando in omaggio alla Vergine e al bimbo.
Chiesa di San Bartolomeo
Pala Martinengo (1516)
Il nome le deriva dal committente Alessandro Martinengo Colleoni, pronipote di Bartolomeo Colleoni, che la volle nella chiesa dove si sarebbe fatto seppellire con la moglie Bianca: infatti, i due sono ritratti a sinistra del trono, nelle vesti di Sant’Alessandro e Santa Barbara. L’opera manca delle tre predelle (ora in Accademia Carrara) e della cimasa (attualmente al museo di Budapest), venduti dai monaci nel 1893: se ancora tutte le parti fossero in loco, le dimensioni sarebbero ragguardevoli (altezza di 8 metri e larghezza di 4), ridotte invece a metri 5x3. Maria appare assisa su di un trono regale, attorniata dai santi cari al credo bergamasco, tra cui Alessandro e Barbara, Giacomo o Rocco, Domenico, Marco, Caterina, Stefano, Agostino, Giovanni Battista e Sebastiano: tutti paiono emergere o anche sprofondare nell’architettura della chiesa, le cui sembianze sono forse le stesse di quella distrutta in località Fortino a causa delle mura veneziane.
Basilica di Sant’Alessandro in Colonna
Compianto su Cristo Morto (1517?)
È una piccola paletta conservata in una delle sacrestie, quindi non sempre visibile, se non tramite l’autorizzazione del parroco. Risale forse al 1517 o poco dopo. La scena è tragica e vede nel gioco di mani degli astanti l’abbandono sconsolato della Vergine tra le braccia di una pia donna. Il dolore incombe sugli altri personaggi, disposti a semicerchio intorno al pallido corpo del Cristo, e le reazioni di disperazione sono colte con grande umanità e dolore, quasi si potessero sentire le urla sgraziate, i lamenti e le lacrime che solcano i visi dei presenti.