Tutto quel che dobbiamo ricordare quando passeggiamo alla Rocca
[Foto © Mario Rota, Elisa Leoni]
«Mamma, mamma, mi porti a vedere i cannoni?». Quante volte da piccoli abbiamo chiesto ai nostri genitori di andare ad ammirare l’artiglieria risalente alla Grande Guerra collocata nel Parco della Rocca? Quante volte a cavallo di quei giganti ci pareva di poter toccare il cielo con un dito? In realtà, nel Parco della Rocca, distribuiti in quel grande spazio verde, ci sono molti altri monumenti, che non ci si è fermati ad ammirare mai abbastanza e che rappresentano un grande valore, per il messaggio che i loro protagonisti lasciano a noi posteri.
Si tratta di sculture e monumenti dedicati ad alcuni reparti dell'esercito italiano, Armi combattentistiche, nei quali hanno militato cittadini bergamaschi (Carabinieri, Avieri, Marinai e molti altri), o semplici lapidi, cippi e steli con i nomi di partigiani, di caduti della prigionia e dell’internamento, così come dei dispersi in Russia; ci sono anche due sculture a ricordo della sezione di Bergamo della Croce Rossa, una delle prime fondate in Italia nel settembre del 1864.
Se si percorre questo spazio, non si può che essere d’accordo con il suo nome: Parco delle Rimembranze (dal 1933). I passi si muovono su un grande viale posto a fianco della torre tonda, l’antica polveriera veneziana del 1512, tra cipressi, cedri, pini, abeti, tassi, cerri, carpini e lecci. Ci si deve concedere un attimo di pace e di riflessione, soprattutto oggi, 4 novembre, in cui ricorre la firma, a Padova, della pace fra l’Italia e l’Impero Austro-Ungarico, a chiusura, nel 1918, del primo grande conflitto del Novecento.
Quel che si rimembra è fatto di storie che corrono lungo più di un millennio, a partire dal lontano II secolo a.C. quando i Romani scelsero il sito della Rocca per il loro Capitolium, in cui elevare il tempio dedicato ala triade capitolina (Giove, Giunone, Minerva). O quando i Cristiani vi eressero la chiesa intitolata a Sant’Eufemia e poi inglobata dal Basso Medioevo nella prima vera fortificazione cittadina. Quella stessa su cui, nel 1331, re Giovanni di Boemia costruì l’attuale Rocca, compiuta solo nel 1336 da Azzone Visconti, il quale aveva assoggettato la nostra città con l’aiuto della potente famiglia dei Suardi.
Toccò poi alla Repubblica di Venezia rafforzarla con la costruzione, a metà del Quattrocento, del torrione rotondo vicino all’ingresso, esploso più di una volta, e a farvi insediare dal Settecento la Scuola dei Bombardieri, nei cui locali è oggi allestito Il Museo del Risorgimento. Una Rocca troppo presto dimenticata già nei secoli scorsi, a causa sia della costruzione delle Mura Veneziane e sia del fatto di essere stata spesso malamente confusa con il castello di Bergamo, che ricordiamo essere invece San Vigilio.
Oggi la Rocca ha perso quel suo tetro aspetto di tenebroso “gendarme senza tempo”, posto a secolare guardia della Città antica, e ha assunto un ruolo di suggestivo richiamo storico, forte anche del fatto che vanta uno dei più bei belvederi bergamaschi, che con un solo colpo d’occhio permette di far spaziare la memoria dall’imbocco delle valli al piano.
Vista dalla Rocca, lato est.
Vista dalla Rocca, lato est.
Vista dalla Rocca, lato ovest.
Vista dalla Rocca, lato ovest.
Bergamo e gli austriaci. Il rapporto della nostra città con gli austriaci è fatto, nei secoli, di alti e bassi. Un impero che ci aveva dato del filo da torcere già 200 anni fa, quando, nel 1815, con il Congresso di Vienna, Bergamo era stata inserita a forza in quella sorta di satellite sulla penisola italica che fu il Lombardo-Veneto.
Agli Austriaci però si devono sicuramente riconoscere alcuni meriti, tra cui quello di aver reso vivibili gli spalti delle mura, di aver trapiantato in città la cultura verde della Mitteleuropa, con grandi piantumazioni, viale alberati e aiuole distribuiti tra Bergamo Bassa e Bergamo Alta, di cui ancora oggi beneficiamo, di aver messo mano agli archivi pubblici ed ecclesiastici e aver definitivamente introdotto il Catasto.
Altre cose, invece, non gli si possono perdonare: l’aver demolito nel 1849 le scale in legno della Torre di Gombito per evitarne la risalita dei patrioti insorti e riparatisi all’interno, che dalla sua sommità pare sparassero con un cannoncino proprio verso la Rocca, dove erano asserragliati i militari austriaci. Ma c’è di più! Sembra che sempre loro abbiano decurtato di una decina di metri il torrione che svetta su città Alta e Bassa, il Gombito, riducendolo agli attuali 52 metri dai 61 originari.