Il parere

«Viviamo un’estate donizettiana Ottimo il lavoro fatto da Micheli»

«Viviamo un’estate donizettiana Ottimo il lavoro fatto da Micheli»
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È stato un grande successo perché le musiche di Donizetti sono veramente profonde, toccanti. Sia quando scendono nell’intimismo dell’anima, di solito legato a situazioni sentimentali di sofferenza, sia quando diventano solenni e potenti. E sia quando si fanno giocose, scherzose, umoristiche. Come in Pietro il Grande. Che ha suscitato l’entusiasmo degli spettatori domenica primo dicembre non soltanto per la splendida musica di Donizetti, ma anche per le ottime interpretazioni e per la regia che è stata brillante, sapiente, e per le scenografie, stupefacenti, con riferimenti all’avanguardia surrealista, ma anche Disneyani, in particolare del mondo di Alice nel paese delle meraviglie. Ma lo stesso entusiasmo registrato domenica per Pietro si era registrato sabato sera per la Lucrezia Borgia, che certo non è giocosa, anzi, si tratta di un dramma, di una tragedia, che parla di tradimenti e di morte, di innocenza perduta, di crudeltà. Con un pizzico di Edipo. In tutti e due i casi lo spettatore è rimasto a bocca aperta, meravigliato. Ora è arrivata anche la notizia che per il triennio a venire il Donizetti Opera avrà tre milioni di finanziamento dal Governo.

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Meravigliato anche Fulvio Stefano Lo Presti, che un semplice spettatore non è, che in questi giorni si trovava a Bergamo per il festival donizettiano. Lo Presti è un componente della Donizetti British Society, è critico e biografo, di Donizetti (ha scritto il libro “A Donizetti basta una zeta”). Ha settantacinque anni, è nato a Catania, ma da mezzo secolo vive a Bruxelles. Ecco il suo parere: «Sono stati due allestimenti eccellenti, fatti salvi alcuni eccessi registici che mi sono parsi, con la Lucrezia Borgia, delle forzature. Soprattutto nella parte introduttiva. L’opera è talmente bella, la musica di Donizetti talmente forte ed evocativa che le regie non dovrebbero fare altro che farla sgorgare, semplicemente». Lo Presti segue Donizetti da quando era un ragazzo. Spiega: «Ho conosciuto la musica lirica attraverso la radio, poi con i dischi che c’erano in casa. A dodici anni mio padre mi ha condotto al teatro di Catania ad ascoltare la Norma di Bellini, il nostro compositore, la nostra gloria. Ma io gli preferisco Donizetti. Senza Donizetti non ci sarebbe mai stato Verdi, è Donizetti che spinge in avanti il melodramma, lo connota in maniera ormai matura. Verdi si innesterà nel campo seminato dal bergamasco. Anche Rossini e Bellini sono stati importanti, ma Donizetti di più».

E perché il critico siciliano venuto da Bruxelles si permette questa affermazione?

«Perché la musica di Donizetti regala sensazioni impagabili. È fresca come acqua di sorgente. È semplice, eppure profonda. Muove le corde più intime della sensibilità subito, appena la ascolti. E continua a muoverle, sempre. Io trovo in lui un’essenzialità potente, sentimentale. Cioè: in lui si compie il miracolo dell’immediata piacevolezza che non si esaurisce mai. Vede, Donizetti è uno che ti fa innamorare, come una bellissima ragazza che vedi passare qui, fuori dal teatro. Solo che è una bellissima ragazza che non invecchia mai, che continua a farti innamorare, sempre. Ho visto per la prima volta un’opera di Donizetti a vent’anni, era la celebre Lucia di Lammermoor, poi, dopo pochi mesi, a Napoli ascoltai il Roberto Devereux. Ecco, non mi sono mai più stancato di Donizetti e ancora oggi vengo da Bruxelles a Bergamo per il suo festival, che è una cosa importante, meritoria».

Le sembra un buon lavoro questo di Micheli?

«Ottimo lavoro, anche tutto quello che fa per fare conoscere l’opera ai giovani, fuori dalla cerchia degli appassionati. Importante. Vede, oggi Donizetti è apprezzato, le sue opere aprono le stagioni dei più importanti teatri del mondo. Ma bisogna lavorare per trasmettere questa bellezza, lavorare per il futuro. L’opera gode di un buon momento, di una riscoperta, ma non ci si deve accontentare. E bisognerebbe che rinascesse il dialogo fra il pubblico e i compositori contemporanei. Non dimentichiamo che fino ai primi decenni del Novecento, l’opera lo spettacolo popolare per eccellenza, non era per una élite, non era di nicchia».

Viviamo una primavera donizettiana.

«Direi un’estate donizettiana. Un rinascimento partito a fine Anni Cinquanta con la famosa Anna Bolena proposta alla Scala con Gavazzeni direttore, con Visconti regista e la Callas protagonista. A Bergamo ci si è sempre impegnati, io ho conosciuto Allorto, Bellotto. Adesso Francesco Micheli va avanti e lo fa molto bene. Bisogna portare l’opera ai giovani, riportarla fra la gente».
Portarla nelle periferie, nei quartieri.
«Sì, certo. E perché no?».

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