Tesori di città

Lo scalone di Piazza Vecchia Cose curiose da scoprire

Lo scalone di Piazza Vecchia Cose curiose da scoprire
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Quanti luoghi diamo per scontati, quanti angoli non catturano più la nostra attenzione come dovrebbero e quante memorie giacciono solitarie, senza che nessuno le degni della dovuta attenzione. Capita anche nel cuore della nostra città, il centro storico, frequentato per le occasioni più usuali e al contempo disparate. Ma tanto è lì, ci diciamo l’un con l’altro, e si fa sempre in tempo a prestargli quell’attenzione, che forse solo la maturità rilascia, proprio come quando sentiamo dire: «Ora che sono giovane e in forze viaggio per il mondo, poi per l’Europa, poi per l’Italia e lascio per ultima la mia bella cittadina». Proprio come fosse un fanalino di coda o una ruota di scorta. E invece la nostra bella Bergamo non smette mai di rivelarsi e stupirci.

Nella top ten dei luoghi del cuore di Bergamo Alta forse il primo è rappresentato da Piazza Vecchia, che ormai è un tutt’uno con la torre Civica, il palazzo Vecchio e Nuovo e la fontana Contarini. Ma siamo sicuri che sono solo questi gli edifici che ruotano nel complesso della piazza? E il palazzo del podestà veneziano? E quello medioevale? E lo scalone nascosto nell’angoletto sud-occidentale, in prossimità del cavalcavia che porta in Piazza Duomo? Quello lo abbiamo mai notato? Mi sa di no!

 

 

Un angolo da scoprire. È grazie ad una recente pubblicazione (Bergamo Scolpita Città Alta e Colli) e ai vari contributi in essa raccolti, tra cui quello dell’amica e collega Ilaria Capurso, che ci accorgiamo dell’esistenza dell’ampia scalinata loggiata, costruita già nel XIV secolo, e che «costituiva una struttura chiave per l’esercizio del potere all’interno della città nel XV secolo, dando accesso dalla Piazza Vecchia - che ormai aveva strappato alla retrostante Piazza del Duomo il ruolo di polo civico - al regio nuovo, sospeso a mo’ di cavalcavia sulla piazza stessa, a sinistra all’aula del Palazzo della Ragione, nel secolo successivo trasformata nell’attuale Sala delle Capriate, e a destra ai locali del Palazzo dei Giuristi».

Le lapidi murate. Ma quello che incuriosisce sono le quasi quaranta lapidi murate lungo la parete dello scalone a partire dal 1881, su iniziativa di Antonio Tiraboschi, autore del testo della lapide alla base dello scalone che ricorda l’evento, con lo scopo di preservarle dalla distruzione e dalla dispersione, dopo che i loro contesti originari erano stati gravemente danneggiati; la loro provenienza, infatti, è disparata, tanto che si va dalla città (il convento di Sant’Agostino, il convento di San Nicolò in Plorzano, ecc.) alla provincia (ad esempio la chiesa inferiore del convento della Ripa di Desenzano al Serio in Albino).

 

 

L’ordine con cui sono state disposte è casuale, dettato dalla volontà di coprire in maniera bilanciata e gradevole allo sguardo lo spazio a disposizione. Per la maggior parte si tratta di lapidi sepolcrali intere o più spesso in frammenti (appartenenti a membri delle famiglie Torriani, Carrara, Bonassi, Cornolti, Mazzucconi e Suardi), databili dall’inizio del XIV secolo al XVIII, anche se il periodo maggiormente rappresentato si colloca tra XV e XVI secolo. «Le pietre tombali furono prelevate dal loro contesto originario ed accatastate dietro un muretto costruito appena fuori dalle cappelle laterali. Quivi rimasero finché non furono trasportate in altro luogo, una parte probabilmente in Piazza della Cittadella, una parte nel cortile della sede dell’Ateneo in Piazza Duomo a cura della Società Storica Bergamasca».

Nell’insieme non si scorgono solo epigrafi, stemmi e frammenti riconducibili alla funzione funeraria, ma emergono anche protomi umane montate sotto le mensole lignee che reggono le travi del soffitto, originariamente usate come peducci delle volte delle cappelle terminali della chiesa agostiniana alla Fara. Vediamo alcune da vicino, le più significative, anche se è difficile scegliere e pare di far torto, a distanza di secoli, a l’uno o l’altro degli inumati che custodivano.

 

 

La lapide è murata in cima allo scalone e proviene dal monastero cittadino dei Celestini di San Nicolò in Plorzano (borgo Santa Caterina). La pietra rettangolare è divisa in due campi, incorniciati da un bordo a dentelli, che presentano alternativamente lo spigolo e la faccia. Il campo superiore contiene l’insegna dell’ordine dei Celestini, una S a rilievo entro scudo, mentre l’inferiore ha la superficie talmente consumata da rendere ormai quasi impossibile decifrare il testo epigrafico che riporta.

 

 

 

La lapide marmorea datata 1360 e appartenente ad un medico della famiglia Torriani è stata tagliata in quattro sezioni durante la fase di smontaggio e trasporto dal convento di Sant’Agostino. La figura maschile elegantemente incisa, seduta su uno scranno, è ripresa nell’atto di tirare un lembo della veste e mostrare un libro aperto, probabilmente un trattato medico, su cui campeggia il motto in latino «Solo Dio infatti guarisce le malattie».

 

 

Il sepolcro era montato sulla porta della chiesa di accesso al chiostro agostiniano di Bergamo, retto da mensole a protome leonine. Si compone di una cassa parallelepipeda, il cui coperchio è decorato sul bordo da un fregio a foglie d’acanto accostate, suddivisa sul fronte in tre settori: ai lati è scolpito a rilievo lo stemma della famiglia Suardi (un leone rampante), mente al centro sotto l’ombra di un arco a sesto acuto trilobato si riconosce la figura della Madonna col Bambino ad altorilievo. L’iscrizione che profila l’attaccatura del coperchio è talmente consunta, che per la sua lettura prestiamo fede alle trascrizioni ottocentesche, che la datano alla II metà del XIV secolo.

 

 

Dell’elegante monumento sepolcrale proveniente dal convento della Ripa di Desenzano al Serio in Albino, si possono ammirare solamente dei resti parziali: la lastra che costituiva il fronte del sarcofago, completa di una sezione del coperchio, e quattro protomi canine a fauci spalancate. Come per il precedente anche questo fronte è suddiviso in tre settori per mezzo di pilastrini a rilievo: nei due esterni campeggiano due stemmi entro scudi inscritti in un cerchio, impreziositi dall’inserto di pietre colorate, mentre quello centrale contiene l’iscrizione, che qualifica il personaggio sepolto come Carlo dei signori di Comenduno, morto nel 1484, familiare di uno dei fondatori del convento.

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