Si chiama La Fenice e fattura 1 milione all'anno

L’azienda che porta a Bergamo il Pata Negra, re dei prosciutti

L’azienda che porta a Bergamo il Pata Negra, re dei prosciutti
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Beppi Bellavita è un «bergamasco vero», come lui si definisce. «Di San Pellegrino Terme», precisa fieramente. Dall’ufficio di Grassobbio, a pochi minuti da Orio al Serio dirige La Fenice, un’azienda che importa e distribuisce prodotti gastronomici pregiati, scelti dalle culture di tutta Europa e in particolare di Spagna. La selezione segue un solo criterio guida: il suo gusto personale. La storia della sua azienda è anche la storia della sua vita.

Dagli articoli sportivi al prosciutto più famoso al mondo. Beppi Bellavita inizia la sua carriera da tutt’altra parte e in tutt’altro ambito. È manager di un’azienda di articoli sportivi. Questo tipo di lavoro lo porta costantemente in giro per il mondo e, in occasione dei sui numerosi viaggi, ha la possibilità di visitare, provare, assaggiare. Cerca i prodotti tipici, le cose buone da mangiare.
Nel 1991, dopo una serie di incertezze abbandona la sua occupazione precedente per dedicarsi totalmente a un nuovo lavoro. Nasce La Fenice. Il nome che Beppi Bellavita ha scelto per la sua azienda ha un significato ben preciso: come la fenice mitologica muore e risorge dalle proprie ceneri, questa nuova attività rappresenta per lui una svolta radicale e la possibilità di trasformare una passione in un mestiere.
Il primo prodotto che importa è il salmone affumicato irlandese, che Beppi già ordinava per il suo consumo personale. Il prosciutto iberico è arrivato subito dopo. Il re del Pata Negra, come è conosciuto oggi, iniziò con  soli 4 prosciutti, che all’epoca costavano 800 mila lire l’uno. Oggi ogni pezzo può costare più di 1600 euro. Circa 20 euro all’etto.

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Beppi Bellavita

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Beppi Bellavita con Chicco Cerea (Da Vittorio), Stefano Arrigoni (La Brughiera), Giuliano Pellegrini (Lio Pellegrini) e, aiutante al taglio, Antonio Robecchi (Ristorante Lo.Ro)

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Nella tenuta di Don Juan Pedro Domecq, leader nella produzione mondiale di Pata Negra.

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Simona Ferrari e Sonia Crespi de La Fenice.

Tutti i numeri e i prodotti dell’azienda bergamasca del Pata Negra. A 22 anni di distanza, La Fenice fattura un milione di euro all'anno e a lavorarci sono in sette. Non è più l’unica azienda che propone al mercato italiano questo tipo di prodotto, ma può vantarsi di essere stata la prima. Ha una rete di distribuzione che percorre tutta Italia, e si condensa soprattutto a Roma e nei grandi capoluoghi. La zona di maggiore attività rimane sempre la Lombardia, dove si concentra il 60 percento del fatturato dell’impresa, e  soprattutto Bergamo, dove La Fenice, a suo dire, è il punto di riferimento per tutti i ristoranti gourmet. Il prosciutto iberico ne è rimasto il simbolo e fa il 90 percento del lavoro. Nella fetta restante troviamo vini e formaggi spagnoli, e, da poco, anche carni fresche congelate di maiale iberico e di baccalà islandese, ma lavorato in Spagna. Fanno eccezione alcuni vini di lusso francesi, come Champagne e Sauternes.

C’è però una cosa della Spagna che non piace a Beppi Bellavita. La corrida. È un amante degli animali, tanto da rischiare l’incidente diplomatico quando, ospite presso la tenuta di Juan Pedro Domecq, forse il più famoso produttore di jamon iberico e sicuramente tra i nomi più prestigiosi, ha abbandonato il suo posto durante una corrida a lui dedicata nell’arena privata della famiglia.

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Cos’è esattamente il Pata Negra? Il prosciutto iberico è chiamato popolarmente Pata Negra (letteralmente zampa nera) per via della colorazione scura della razza impiegata, non è però una definizione ufficiale.
Facciamo un po’ di chiarezza: in Spagna, semplificando un po’, troviamo due tipologie di prosciutti crudi: jamon iberico e jamon serrano.  Per la produzione della seconda tipologia, diffusa in tutto il territorio, sono impiegate maiali di razza bianca, molto più magri, che seguono un’alimentazione che prevede per lo più mangimi di cereale.
Tutto cambia per lo jamon iberico, considerato un prodotto di maggior pregio gastronomico. La produzione prevede l’impiego esclusivo di una razza specifica, il suino iberico, cerdo iberico in lingua spagnola, che viene allevato in quella ristretta parte del Paese che da Salamanca scende lungo il Portogallo e attraversando l’Extremadura arriva fino in Andalusia. Qui si trovano le dehesas, i boschi di querce che forniscono l’alimentazione primaria di questa razza, la ghianda.  Proprio il frutto della quercia conferirà al prodotto finale le caratteristiche che determinano la sua tipicità.
A questo punto dobbiamo fare un’ulteriore distinzione. Alcuni maiali seguono un’alimentazione che prevede prevalentemente le ghiande, ma è alternata a mangimi, altri invece sono destinati ad un’alimentazione che prevede esclusivamente le ghiande. Solo questi diventeranno jamon iberico bellota, detto Pata Negra, l’eccellenza.
Un dato numerico: dei 44 milioni di prosciutti crudi prodotti in Spagna ogni anno solamente 100 mila portano questa dicitura, meno dell’1 percento.

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Perché il Patanegra è così buono. Il segreto sta nella razza suina autoctona e nella sua alimentazione. Il processo di stagionatura che nei casi dura fino a 30 mesi completa il tutto accentuandone le peculiarità. Il grasso è di color avorio e le carni hanno una colorazione rossa brillante. Il sapore dolce e particolarmente intenso è accompagnato da un aroma persistente. Nei prodotti più pregiati non si fa fatica a trovare note di caramello, frutta secca e nocciole tostate.

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