A Lallio da mezzo secolo

Santini, un'eccellenza orobica «Macché Cina, noi restiamo qui»

Santini, un'eccellenza orobica «Macché Cina, noi restiamo qui»
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«Macché Cina, restiamo a Lallio. La nostra forza è il made in Italy, sono le persone che sanno lavorare. Se lei va a guardare i dettagli, le finiture, si accorge subito della differenza. E poi qui lavora la nostra gente, dovrei lasciare a casa ottanta persone? Significa ottanta famiglie. Non ci penso nemmeno». Pietro Santini è un cavaliere nel senso più nobile, medievale: un uomo che ha dei valori ben chiari in testa, e si batte per difenderli. Santini è il fondatore dell’omonimo maglificio sportivo che ha sede a Lallio. Il suo marchio è conosciuto in tutto il mondo, da tutti gli appassionati di ciclismo, e non soltanto. La maglia rosa del Giro d’Italia, la maglia oro della Vuelta di Spagna, la maglia iridata del Campionato del Mondo sono tutte firmate Santini. Come le divise delle squadre nazionali di Australia, Slovacchia (con il campione del mondo Sagan), Nuova Zelanda. E adesso sono firmate Santini le maglie della «Eroica», la gran fondo che da un po’ di anni ha rilanciato il ciclismo d’epoca, quello delle bici d’acciaio e delle maglie di lana delle mitiche squadre Bianchi, Legnano, Wilier. Secondo un calcolo approssimativo, il maglificio sportivo Santini sforna 700mila divise ciclistiche all’anno. Vanno in tutti i continenti.

 

Fausto Coppi con il cavalier Pietro Santini.

 

Sognando le acciaierie Dalmine. È cominciato tutto cinquantadue anni fa. Il cavalier Pietro Santini parla nel suo ufficio, davanti a una scrivania linda, ben ordinata, l’espressione del viso in un accenno costante di sorriso che delinea il carattere della persona. Dice Santini: «A dire la verità la storia comincia un po’ prima, nel 1960. Io sono di Dalmine e come tutti i ragazzi di Dalmine speravo soltanto di venire assunto dall’acciaieria. Feci anche io domanda, dopo le tre medie. Tanti miei amici vennero chiamati. Mentre aspettavo il mio turno, andai a lavorare a Levate in una officina di fabbro e ciclista. Imparai qualcosa, per esempio a saldare. Poi passai a Curnasco nell’officina San Marco. Saldavamo alcune parti dei tubi Dalmine. Una volta avevo un tubo sul cavalletto e stavo saldando, il tubo scivolò giù, mi cadde sul piede e me lo ruppe in maniera piuttosto seria. Risultato: quaranta giorni di gesso. Dovetti restare a casa. Mi annoiavo, allora cominciai ad aiutare le mie sorelle che facevano le magliaie in casa con il telaio a mano. Eravamo verso la fine del 1960. Quel lavoro mi piaceva. Dopo quaranta giorni pensai che potevo restare lì e non tornare in officina: era un lavoro più tranquillo, confortevole, meno pericoloso. Mio padre lavorava alla Dalmine: mi sconsigliò perché secondo lui quello era un lavoro da donne. Ma io andai avanti».

 

 

Un garage e un telaio. Santini era giovane, aveva voglia di fare. Propose alle sorelle di comperare un motorino per il telaio. Il lavoro procedeva bene, allora decise di traslocare: dalla casa a un ampio garage. Racconta l’imprenditore, mezzo secolo dopo: «Quelli erano gli anni in cui in tanti si davano da fare. Il futuro era tutto da costruire, da conquistare. E noi ci credevamo. In quel garage inserimmo la prima macchina elettrica automatica che lavorava non soltanto in modo lineare, ma eseguiva delle lavorazioni più articolate. Mi ricordo il mio papà preoccupato. Le cambiali che ha dovuto firmare per garanzia. D’altronde i capitali non li avevamo». Le idee e la voglia di fare sì. Oltre a pullover e maglie della salute, Santini cominciò a tessere la lana per i maglioni da sci, quelli che indossava Gustav Thoeni, ma per conto terzi.

Poi arrivò il ciclismo. Racconta il cavaliere: «Io penso fosse il 1966. Avevo una grande passione per il ciclismo, ero cresciuto a pane e Coppi. In quel momento era Gimondi l’astro nascente. I dirigenti dell’Unione Ciclistica Sforzatica mi chiesero se potevo preparare le loro divise. Al momento pensai che non era il caso perché mi occupavo di un altro tipo di maglieria, ma poi accettai per fare un favore, ma anche perché c’era di mezzo la mia grande passione per il ciclismo. Il fatto fu che la voce cominciò a spargersi e altre società ciclistiche bergamasche mi chiesero di confezionare le divise. Insomma, mi resi conto che quello che avevo fatto per aiutare degli amici in realtà poteva diventare il mio nuovo lavoro, l’impegno principale della nostra ditta. E nel 1970 partecipammo al Salone del ciclo, a Milano. Feci preparare uno stand in legno da un falegname di Dalmine, andammo a Milano e lo montammo. Ecco, da lì non ci siamo più fermati».

 

 

L'azienda oggi, in tutto il mondo. Adesso Santini è conosciuto in tutto il mondo. Le due figlie, Monica e Paola, danno una mano decisiva, come Maria Rosa, moglie e mamma e preziosa collaboratrice. Per Pietro Santini (ma gli amici lo chiamano Rosino) il problema della continuità non si pone. Il cavaliere ha modi pacati, tranquilli. Celano un’energia invidiabile. Racconta: «Non ci lamentiamo di come vanno le cose, anzi. Abbiamo superato questi anni difficili per il nostro Paese con un incremento continuo del lavoro. Rispetto al 2015 siamo cresciuti dell’11 per cento. Una buona cosa. Certo, il lavoro devi andare a cercartelo, sfruttare tutte le occasioni, fare rendere al meglio il nostro marchio. Le mie figlie sono molto brave in questo, certo più di me. Adesso il problema è trovare il personale adatto, in particolare persone, soprattutto donne, che conoscano il lavoro di sartoria. Si fa fatica. Tante ragazze cercano lavoro, ma poi quando capiscono quali sono le nostre esigenze, fanno un passo indietro, e posso anche capirle. Hanno studiato, magari sono laureate e non hanno voglia di mettersi a una macchina per cucire. Eppure è un lavoro che dà soddisfazioni. E non è pagato poco. Ci spostassimo in Cina pagheremmo il personale un decimo, ma non ha senso. Noi andiamo bene, siamo in tutto il mondo, ci siamo costruiti una fama, vogliamo restare ad alti livelli».

 

 

Le nuove frontiere del ciclismo. La nuova frontiera di Santini è il passato. Il ciclismo ha riscoperto le origini, la gran fondo «L’Eroica» dalla Toscana è sbarcata anche in altri Paesi. Spiega Pietro Santini: «C’è un boom delle maglie di lana e facciamo fatica a tenere il passo. Per fortuna che centocinquanta metri più avanti, qui a Lallio, c’è un laboratorio di maglieria che è sopravvissuto alla grande crisi del tessile. Ci dà una grossa mano. Per loro è una benedizione e anche per noi. Si lavora molto bene. Facciamo le maglie vintage e poi anche maglie nuove, con fantasie diverse. Facciamo maglie “nazionali” ispirate ai colori dei diversi Paesi, per esempio quella italiana è azzurra, quella americana è ispirata al colore del deserto californiano… Pochi giorni fa in Spagna hanno fatto “La Mussara” che è la loro “Eroica”… erano iscritti in ottomila».

Il ciclismo è cambiato, dice Santini. In meglio. Era uno sport per la povera gente, oggi è lo sport di tutti. «È il golf del Duemila - afferma Santini - Lo dice sempre mia figlia Monica. Professionisti, industriali, intellettuali, la bicicletta coinvolge tutti. Oltre agli appassionati storici: operai, impiegati, gente umile. La bici ci rende tutti uguali. Non è più come una volta che se andavi a lavorare in bici venivi considerato un “poer marter”. Oggi se vai in ufficio in bici sei un tipo in gamba. Un tipo “smart ”». Il cavalier Pietro Rosino sorride un po’ di più, stringe la mano forte e guarda dritto negli occhi. «Arrivederci».

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