Il ristorante Frosio ad Almè Un elegante scrigno del buon cibo
Per la quarta tappa alla scoperta dei ristoranti stellati della provincia bergamasca, andiamo ad Almè, dove, in una villa a tre piani con parco, i fratelli Paolo e Camillo Frosio gestiscono da più di 25 anni questo scrigno del buon mangiare.
La formazione. Anche in questo caso, le origini della famiglia hanno un ruolo centrale nella storia del locale e del suo successo. Paolo Frosio, oggi chef del ristorante che porta il suo cognome, viene da una generazione di ristoratori. L’osteria storica, gestita fin dal 1910 dalla famiglia Frosio e dove Paolo, ancora ragazzo, inizia a farsi le ossa, è il Posta di Sant’Omobono Terme. Qui impara i fondamentali di cucina e, dopo l’esperienza familiare, parte giovanissimo per completare la propria formazione all’estero: in Francia, e negli Stati Uniti, in California. Ancora molto giovane, ma forte del percorso compiuto nelle grandi cucine internazionali, decide di tornare in terra bergamasca per raccogliere l’eredità dei suoi. Insieme al fratello Camillo, appassionato sommelier, scelgono di mettersi in gioco, pronti a dire la loro in fatto di cucina.
Frosio, Almè.
Il posto giusto. Paolo ricorda come la ricerca del locale giusto li abbia impegnati non poco: dovevano trovare una struttura adatta per il tipo e il livello di ristorazione che avevano in mente. L’occasione arriva poco lontano da casa, ad Almé, in un villa signorile del Settecento in pieno centro al paese, con tanto di parco secolare. Sul fianco, una torre romanica del 1200 che oggi è la cantina, fornitissima, del ristorante. L’atmosfera, elegante, rievoca altri tempi: le sale riscaldate dai caminetti, sovrastati da vecchie specchiere, danno l’impressione di entrare in un club da gentiluomini. I piani superiori della casa ospitano l’abitazione dello chef e uno è dedicato interamente allo staff di cucina e agli stagisti che regolarmente qui si succedono.
Il giorno della stella Michelin. Dal 1990, quando tutto ha inizio, alla stella Michelin trascorrono solo tre anni. Paolo Frosio ricorda che, il giorno della comunicazione ufficiale, il ristorante ospitava un matrimonio e, tra i telegrammi di congratulazioni, finì anche la lettera della guida, che gli fu così consegnata direttamente dalla sposa. Oggi, a più di venti anni di distanza, lo ricordano con un tono che sa un po’ di abitudine, come se quella stella rossa fuori dalla porta fosse un semplice decoro della villa: non tanto perché sia scontata, quanto piuttosto per la consapevolezza e la passione di chi ha scelto di dedicare la propria vita a un mestiere. Senza aspettarsi riconoscimenti.
Frosio, Almè.
La cucina. Nonostante le esperienze oltralpe e oltreoceano, la cucina del ristorante ritorna sui gusti antichi, quelli di una volta, sfidando di tanto in tanto le mode del momento in favore della bontà assoluta. Le frattaglie, ad esempio: le animelle di vitello arrosto con carciofi sono uno dei piatti simbolo della cucina di Frosio. Il pesce, come in tutte le carte di un certo livello, non manca, ma sono i gusti di montagna, quelli del territorio, che fanno il profilo del menù. Qualche esempio? Il filetto di cervo coi mirtilli e il piccone servito con fegato d’oca.
La carta dei vini. È un manuale. Un vero catalogo che raccoglie circa 1200 etichette di buoni vini, alcuni eccezionali. Sfogliando un po’, ci si rende subito conto di quale sia l’impostazione della carta: 6 pagine di Barolo e altrettante di Bordeaux con i migliori Chateau della storia. Camillo non ha difficoltà ad ammettere che i vini rossi strutturati e corposi sono i suoi preferiti, anche perché ben si sposano con i piatti proposti e la filosofia di cucina e del locale. La Francia è molto ben rappresentata, con etichette provenienti da tutte le regioni vitivinicole di rilievo. E, per finire, un po’ di Austria e Germania. È una della cantine più fornite della bergamasca, dicono in giro.