A Ponteranica

Metti un piatto a Trattoria del Moro Il coniglio, fatto come si deve

Metti un piatto a Trattoria del Moro Il coniglio, fatto come si deve
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La trattoria del Moro è una colonna della ristorazione bergamasca, come lo sono, in fondo, Iosette, Giuliana e Bianca. Tre signore bergamasche che portano avanti, da sole, una roccaforte della tradizione gastronomica locale, un po’ nascosta tra i boschi della Maresana. Tutto alla buona, intendiamoci: tovaglie bianche, stoviglie senza fronzoli, un bar d’altri tempi e quartini di rosso sui tavoli. Semplice ma onesto, vero e schietto, e la schiettezza di questi tempi è quello che fa la differenza. Non a caso il biglietto da visita riporta sotto l’indirizzo anche il motto del locale: Tot nostrà meno ol pà (Tutto nostrano meno il pane)!

 

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Aria di casa e di autenticità. Qui dentro le tre signore ci sono praticamente nate. La trattoria l’aveva aperta il papà, «il Moro» appunto, che per via di un mal di schiena si era deciso ad aprire una fiaschetteria a due passi dalla chiesa di San Rocco, in cima a Ponteranica. E poi nel 1969, tra un piatto di casoncelli e qualche fetta di salame, dato che le cose andavano bene, è nata la trattoria vera e propria. Dietro la sala da pranzo, tanto bella da sembrare una cartolina, e oltrepassato il piccolo bar rimasto fermo a cinquant'anni fa, c’è la cucina, di quelle di una volta, con ancora le piastrelline bianche alle pareti e le dispense in legno che oggi non si trovano più. Ci sono anche un enorme camino e una stufa bergamasca accesa, anche se questi non si possono più usare per far da mangiare: l’Asl parla chiaro.

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Il coniglio con la polenta bergamasca. Ma il coniglio di Iosette se ne frega, e anche se lo si prepara sul fornello a norma lui viene straordinario lo stesso. Un po’ perché è un coniglio ruspante, nostrano, di quelli polposi e dalle carni tenere, un po’ perché Iosette sa come prepararlo. Innanzitutto si taglia a pezzetti e lo si lascia soffriggere con la cipolla, lo si fa rosolare ben bene e poi, quando è ben colorito, lo si ricopre di un buon vino rosso, già saporito, e lo si lascia finire in forno come fosse un brasato, insieme a sale, pepe, aglio e qualche rametto di rosmarino. Un’ora e mezza e ci siamo: il liquido asciuga e sulla carne rimane una crosticina croccante e saporita. Di contorno ci va la polenta, è ovvio. Le signore sono perentorie: «In questa casa di polenta molle non se ne vede, qui si mangia la polenta bergamasca, corposa e da tagliare! Di più: noi la facciamo anche un po’ mista, mischiando la farina di mais con quella di saraceno». Il risultato è più che soddisfacente, garantito.

 

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Ma anche lo stracotto e i casoncelli. Nel caso il coniglio non fosse abbastanza, potete sempre chiedere di un altro classico, lo stracotto d’asino. Per cuocerlo ci vogliono tre giorni interi di marinatura che precedono otto ore di lenta cottura. Oppure, se volete andare sul sicuro: un piatto di casoncelli fatti (veramente) a mano. Casoncelli nostrani, beninteso, di quelli che hanno la pasta un po’ spessa, tenace, che si fa sentire sotto i denti, e un buon ripieno dal sapore deciso, vagamente dolciastro, che non vuole farsi apprezzare da tutti per forza, ma solo da chi sa riconoscere le cose buone. Tutto questo, ovviamente, allagato da burro fuso insieme a pancetta e salvia. Come deve essere.

A tavola come una volta. Il coniglio di Iosette, Giuliana e Bianca è buono, anzi buonissimo, ma non dovete andare a cercarlo pensando di gustare il più buono che esiste. Non è questo il senso con il quale dovete salire fin quassù. Ci dovete venire perché ci sono tre signore bergamasche, di quelle autentiche, che vi faranno stare a tavola come si stava una volta, e come si dovrebbe sempre stare, tra cose buone e con semplicità.

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