L'assassino di Luca Varani

Cosa c'era nella testa di Marc Prato oltre a coca, alcol e psicofarmaci

Cosa c'era nella testa di Marc Prato oltre a coca, alcol e psicofarmaci
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Il nome Marc, senza la “o” finale lo deve alla madre francese. Il cognome invece è ovviamente quello del padre Ledo, personaggio ben noto nel panorama culturale romano, laureato in Scienze Politiche e in possesso di un master in marketing conseguito a Parigi. Lui è sempre stato un tipo inquieto che i genitori hanno faticato a tenere sui binari di una vita come si deve. Per questo non avevano mai visto di buon occhio la sua scelta di fare il pr, l’organizzatore di eventi, quasi sempre eventi notturni, a Roma.  «È sempre stato un bravo organizzatore di eventi e feste della Roma bene. Ricordo gli aperitivi all’Os Club di Colle Oppio. Era bravissimo pure a trovarsi gli sponsor: gli occhiali Jacobs, la Mini...», ha raccontato Flavia Vento, che con Marc ebbe un flirt durato pochi mesi. «Qualche bacio e niente più», garantisce lei. «Mi accompagnava, anche dopo che la nostra storia era finita, a portare i miei sette cani a spasso nei giardini dell’Eur, parlavamo fitto di natura e di mare. Quest’estate era venuto pure in vacanza a casa mia, a Sabaudia. Mi dispiace, però, che siano uscite di nuovo quelle vecchie foto di due anni fa. Storia finita. Oggi, tra l’altro, sono single».

Del resto Marc è omosessuale, e quindi per i più quella storia con la bellissima attrice era più che altro una storia di copertura. Racconta una sua amica: «Era un ragazzo timido, complessato per il suo fisico. Era grassottello, piccolo. Poi quando ha smesso di fingere di essere eterosessuale si è trasformato, è diventato un fico». Su Facebook promuoveva le sue serate ribattezzandole così: “Bella musica + buon cibo + cocktail rinfrescanti + tanti amici + spettacoli e divertimento”.

 

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Dettagli su se stesso veri, o forse depistanti, li ha dati lui stesso dopo il delitto quando ha scritto un brogliaccio di sette pagine per spiegare quale fosse il suo problema. Un documento reso noto da due croniste del Messaggero: Marco Prato ha scritto quelle pagine di getto mentre ingeriva un’intera boccetta di Minias, un ansiolitico che era stato comprato qualche giorno prima da Manuel Foffo, il complice nell’omicidio del giovanissimo Luca Varani. È un lungo sfogo su come la sua vita sia difficile, qualcosa che passa per il desiderio sempre nutrito di operarsi e diventare donna. Scelta che ovviamente, secondo quanto racconta, la famiglia aveva osteggiato. «Dovevo morire io. Ho fatto una cosa orribile. Sono pentito», scrive sempre in quelle pagine.

In realtà secondo quanto ricostruito da La Stampa, l’idea di quell’orribile delitto non era sbucata all’improvviso nella mente di Marc Prato. Il fatto sarebbe avvenuto un mese prima dell’omicidio: vittima un 30enne cocainomane, che si era salvato grazie alla madre, che aveva allertato il 112. Aveva anche sporto querela, che fu poi però ritirata, non è ancora chiaro il perché. Ora l’uomo sarà naturalmente sentito dalla Procura per spiegare questa sua marcia indietro.

Certo nella testa di Marc Prato quella notte tra il 3 e il 4 marzo c’era una vera bomba: quei 28 grammi di cocaina, mischiati con alcool e psicofarmaci per quasi duemila euro di spesa, consumati con il complice Manuel Foffo. E forse qui sta il vero punto di rottura di una vita inquieta e border line. Ma una vita che poteva essere semplicemente come tante altre. E che invece la polvere bianca ha fatto esplodere.

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