Processo rinviato al 30 marzo

Bossetti, la difesa getta ombre sul custode del centro sportivo

Bossetti, la difesa getta ombre sul custode del centro sportivo
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Venerdì 18 marzo, presso il Tribunale di Bergamo si è tenuta la 35esima udienza del processo nei confronti di Massimo Bossetti, l’uomo accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio. Dopo che l’imputato, per ben tre udienze, si è sottoposto alle domande del pm Letizia Ruggeri, dell’avvocato della famiglia Gambirasio Andrea Pezzotta, dei suoi legali e della Corte d’Assise presieduta dal giudice Antonella Bertoja, sin da mercoledì ad aver preso la parola sono i testimoni della difesa. Paolo Camporini e Claudio Salvagni, al via del processo, avevano presentato una lista abnorme di nomi di persone che avrebbero voluto far parlare come testimoni difensivi, ma la lista è stata fortemente accorciata dalla Corte. Nella scorsa udienza si erano presentati sul banco dei testimoni un ragazzo di 17 anni, che nel 2010, anno della scomparsa di Yara, aveva appena 11 anni; Giovanni Terzi, il tecnico informatico che si occupava della riparazione e dell’assistenza ai computer di casa Bossetti; e l’archeologo forense Dominic Salsarola, che era stato interpellato nel febbraio 2011 per un sopralluogo al cantiere di Mapello, dove si ipotizzava di demolire alcuni manufatti per cercare il corpo di Yara o tracce del suo passaggio, ma l’intervento non fu poi necessario perché il corpo della ragazzina venne trovato pochi giorni dopo nel campo di via Bedeschi a Chignolo d’Isola.

 

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[Paolo Camporini (sin.) e Claudio Salvagni (des.), legali di Bossetti]

 

La testimonianza della 50enne di Ambivere. In realtà l’udienza del 18 marzo si è rivelata, rispetto alle tempistiche a cui ci ha abituato il processo in questione, un’udienza lampo. Il giudice Antonella Bertoja, infatti, alle 14 circa ha rinviato il processo al 30 marzo, ordinando anche una verifica dell’elenco dei testimoni della difesa che saranno chiamati a deporre. E così a parlare sono state soltanto due persone rispetto a quelle inizialmente previste (5 o 6). La prima è stata Cinzia Fumagalli, 50enne di Ambivere, che nel dicembre 2010 di presentò alle forze dell’ordine per raccontare un fatto particolare accadutole la sera del 26 novembre, sera della scomparsa di Yara Gambirasio. La donna ha ripetuto quanto raccontato allora agli inquirenti anche davanti alla Corte, su precise domande del legale difensivo Camporini. La Fumagalli ricorda che quel 26 novembre, poco prima delle 19, stava portando fuori da casa l’immondizia, quando «ho sentito un grido strozzato e ho visto passare un furgone chiaro a gran velocità. Mi è passato a distanza di 10 metri, non ho visto la direzione in cui andava, era troppo veloce. Non ho parlato di questa cosa se non a mio marito e agli inquirenti, ma solo a dicembre, quando si iniziò a parlare delle ricerche di Yara anche nella nostra zona». La donna ha anche detto di non saper dire se il grido provenisse da un ragazzo o una ragazza, soltanto che era una voce giovane. La testimone ha poi aggiunto che il furgone visto era chiuso, senza il cassone dietro, e dunque non poteva essere quello di Bossetti.

 

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[Il giudice Antonella Bertoja, presidente della Corte d'Assise]

 

La difesa all'attacco del custode del centro sportivo. Decisamente più interessante la seconda deposizione, cioè quella di Walter Brembilla, il custode del centro sportivo di Brembate Sopra. Sin da subito i legali di Bossetti lo hanno incalzato con domande specifiche. È parso chiaro il loro intento di gettare delle ombre sul custode. E a notarlo sono stati anche il pm e l’avvocato della parte civile, che hanno sottolineato la cosa alla Corte. Camporini, che ha condotto l’interrogatorio, ha messo in luce le tante contraddizioni nei racconti di Brembilla agli inquirenti, in particolare circa i suoi movimenti nel pomeriggio del 26 novembre 2010. Davanti alle domande dei legali di Bossetti, il custode ha ammesso di aver mentito: «Ho avuto paura. Credevo che se non avessi risposto in modo giusto sarei finito tra i sospettati soltanto perché custode del centro sportivo». Nel primo verbale, redatto appena 5 giorni dopo la scomparsa di Yara, Brembilla aveva affermato di essere rimasto nella sua abitazione, che si trova all’interno del centro sportivo, tutto il pomeriggio, dalle 17.30 alle 19 circa. In una successiva occasione, invece, aveva affermato di essere uscito per andare a prendere alla stazione di Ponte San Pietro un ragazzo che si doveva allenare e di averlo poi riaccompagnato a fine allenamento. Anche nell’udienza del 18 marzo, però, Brambilla ha affermato: «Io non ho visto niente».

La tensione tra accusa e difesa è salita quando Camporini ha chiesto a Brembilla se fosse in possesso di un cellulare. L’uomo ha risposto in modo affermativo. «Ha dei video sul cellulare?» ha allora domandato il legale di Bossetti. Anche in questo caso il custode ha risposto di sì. Camporini gli ha dunque chiesto che tipo di video avesse sullo smartphone e, evidentemente imbarazzato, Brembilla ha risposto: «Potete intuirlo…». È a questo punto che il pm Letizia Ruggeri s’è alzata e ha esclamato: «Si tratta di un testimone, non dell’imputato!». Anche Andrea Pezzotta, legale dei Gambirasio, s’è lamentato con la Corte, sottolineando come Brembilla «è stato sottoposto a prelievo del Dna, è stato intercettato e pedinato» e che, dunque, la Procura non abbia tralasciato nulla. Camporini si è difeso dicendo che «sono gli atti a dire che il testimone è stato reticente». A questo punto è stata la Bertoja a intervenire, cercando di riportare la calma. «Che rilevanza hanno questi quesiti, avvocato? Brembilla non è l’imputato» ha domandato il giudice. «Per ora…» ha risposto sibillino Camporini, causando la reazione stupita del pubblico presente e facendo infuriare la presidente della Corte, che ha deciso di sospendere l’udienza e di rinviare il processo al 30 marzo. Ancora una volta, dunque, la difesa ha tentato il colpo di scena, ma rispetto al passato ha sicuramente centrato l’obiettivo: gettare ombre su qualcuno di diverso da Bossetti, dimostrando che il castello accusatorio della Procura ha più di una falla.

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