La festa di Purim

I giorni del carnevale ebraico (Quando Ester salvò il suo popolo)

I giorni del carnevale ebraico (Quando Ester salvò il suo popolo)
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Purim è una festa piena di gioia. Un po’ impropriamente viene chiamata il carnevale ebraico. In realtà è una festa che porta con sé un grande significato, perché Purim (che letteralmente significa “sorti”) fa memoria del miracolo che portò alla salvezza degli ebrei dallo sterminio in Persia progettato da Haman. A Purim in Israele e nelle comunità ebraiche sparse in giro per il mondo ci si maschera come a carnevale. La maschera è un modo per celebrare il totale capovolgimento della sorte degli Ebrei, e si vuole sottolineare il ruolo nascosto che Dio ha avuto nella vicenda. Una festa strettamente legata a quella di Kippur non solo per il nome (il plurale di Kippur in ebraico è Kippurim e Kippurim significa “Come Purim”), ma perché entrambe le solennità si riferiscono a un cambiamento di sorte: a Purim è l’azione umana che crea la differenza mentre a Kippur, il giorno dell’espiazione, si tratta di un verdetto divino.

 

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La vicenda di Ester. La vicenda di Purim è narrata nel libro biblico di Ester. Haman, primo ministro del re di Persia Assuero, convinse il sovrano a uccidere tutti gli ebrei del suo regno. Si stima che la vicenda avvenne in un’epoca a cavallo tra la distruzione del Primo Tempio e la ricostruzione del Secondo, più o meno nella prima metà del quinto secolo avanti Cristo. Lo sterminio si sarebbe dovuto consumare entro il 14 del mese ebraico di Adar. Ma la regina Ester, ebrea di una bellezza sfavillante che Assuero aveva sposato in seconde nozze, venne informata dallo zio Mordechai dei piani di sterminio e supplicò il consorte, dopo un digiuno di tre giorni, di salvare il suo popolo e lei stessa, che fino ad allora aveva nascosto al marito la sua origine ebraica (del resto Ester deriva da una parola ebraica che significa “nascosto”). Fu grazie a Ester che gli ebrei riuscirono a salvarsi, Haman venne condannato a morte e al suo posto venne messo Mordechai. Una volta evitato il massacro la regina inviò una lettera in tutte le provincie del regno per raccontare il miracolo, e da allora la “Meghillà di Esther” viene letta in tutte le sinagoghe del mondo nel giorno di Purim, e quando viene pronunciato il nome del malvagio Haman, sinonimo di chiunque voglia recar danno agli ebrei, tutti i presenti, e specialmente i bambini, cercano di coprire il suo nome scuotendo speciali apparecchi che producono forti rumori.

 

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Come ci si veste a Purim. A Gerusalemme si respira una bellissima aria di festa, e anche i serissimi appartenenti alle comunità ultraortodosse diventano sorridenti e gioiosi nelle loro maschere che spesso ricordano vecchi saggi, rabbini, o nei casi più moderni, militari dell’esercito, arabi con in testa la kefyah, clown o principesse. E se quest’anno non sono mancati i travestimenti da Donald Trump, in passato c’è stato chi si è mascherato da Adolf Hitler o da gregario nazista. Quest’anno, per pura coincidenza, Purim inizia lo stesso giorno che per i cristiani si ricorda il Giovedì Santo, l’ultima cena di Gesù prima della sua crocifissione, e finisce sabato. Come da tradizione ebraica il giorno che precede la festa è di digiuno, anche se a differenza di quello praticato per altre grandi feste, come Yom Kippur, inizia all'alba e termina al tramonto. Poi la festa vera e propria, con lauti banchetti e ubruiacatura da precetto religioso, perché si deve bere vino fino ad arrivare al punto di “non conoscere”. Altro precetto fondamentale è donare cibo agli amici e fare l’elemosina ai poveri.

 

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Puri è una ricorrenza ebraica, ma anche in molte zone dei Territori Occupati, sotto il controllo dell’Autorità Palestinese come a Betlemme, dove di ebrei non c’è traccia, anche i bambini non ebrei si mascherano e festeggiano il loro carnevale. Quest’anno le ingenti misure di sicurezza hanno un po’ attutito l'allegria che pervade le strade e le piazze, i Territori sono stati chiusi per quattro giorni ed è impossibile oltrepassare i check point, se non per gravi casi umanitari. Un provvedimento che interessa circa 77mila persone che lavorano legalmente in Israele ma che risiedono in territorio Palestinese.

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