Bossetti, è battaglia sui testimoni Smentita la tesi pedopornografica
Si è tenuta mercoledì 30 marzo la 35esima udienza del processo nei confronti di Massimo Bossetti, l'uomo accusato dell'omicidio di Yara Gambirasio. Al Tribunale di Bergamo si sono susseguiti una serie di testimoni chiamati a deporre davanti alla Corte d'Assise presieduta dal giudice Antonella Bertoja da Paolo Camporini e Claudio Salvagni, ovvero i legali dell'imputato. Negli scorsi mesi, la difesa aveva presentato una lista di testimoni con oltre 700 nomi (711 per la precisione), tanto che la Corte era arrivata a chiedere un "taglio". Qualche settimana fa, i due legali hanno dunque sforbiciato la lista ad "appena" 160 nomi, ritenuti però tutti «irrinunciabili» al fine della corretta difesa dell'imputato. A differenza delle ultime udienze, in aula non è presente Marita Comi, moglie di Bossetti, mentre sedeva nel pubblico Laura Letizia, sorella gemella dell'imputato.
Il perito della difesa: nessuna ricerca pedopornografica. Tra le deposizioni più rilevanti, in mattinata c'è stata quella di Giovanni Bassetti, ovvero uno dei nuovi periti informatici del pool difensivo. Sebbene Bassetti non abbia ancora potuto analizzare fisicamente gli hard disk dei dispositivi di proprietà di Bossetti, analizzando i documenti degli informatici forensi dell'accusa e il lavoro svolto dai colleghi che lo hanno preceduto, Bassetti ha sostenuto davanti alla Corte che nessuna delle ricerche svolte dall'imputato risulta essere illecita. Si tratterebbe, dunque, di «normale pornografia». Ha poi aggiunto che «la parola "ragazzine" (su cui si è concentrata molto l'accusa, ndr), tra le ricerche sul web, c’è cinque volte, ma è tutta normale pornografia. Si tratta in parte di ricerche e in parte di clic su vari banner comparsi durante la navigazione». Bassetti ha infatti precisato che «sia YouTube sia Google hanno tolleranza zero per la pedopornografia. Nelle ricerche sui computer utilizzati da Massimo Bossetti, invece, tutto è lecito. Credo che se si vuole cercare la droga non si vada in piazza ma nei vicoli bui. E quindi c’è un dark web in cui chi vuole va a cercare ciò che è illecito. Ma non lo fa su Google o YouTube». Secondo il consulente della difesa, dunque, nei dati estrapolati dai dispositivi di Bossetti non risultano esserci elementi pedopornografici, come invece sostenuto dalla Procura, aggiungendo anche che «le ricerche indicate dall’accusa come illecite sono solo tre e vanno dal 2002 al 2014. Solo tre in 12 anni praticamente».
I testimoni della difesa. Dopo le parole del consulente informatico, che ha risposto con precisione alle domande del pm Letizia Ruggeri, la difesa ha chiamato a deporre Sabrina Rigamonti, donna residente a Mapello che la sera del 26 novembre 2010, ovvero quella della scomparsa di Yara, si trovava presso il centro sportivo di Brembate Sopra per seguire un corso di fitness. Rigamonti, rispondendo alle domande degli avvocati, ha sottolineato come quella sera non abbia notato assolutamente nulla di strano, né all'interno del centro né nel parcheggio esterno, dove non ha notato neppure furgoncini sospetti. Successivamente è stato ascoltato un ragazzo coetaneo di Yara, il quale frequentava catechismo con l'allora tredicenne e che spesso si sentiva con lei: sul cellulare del giovane sono stati trovati 109 contatti con Yara, tra sms e telefonate, ma sul cellulare della 13enne risulta che il numero del ragazzo non era mai stato salvato. Dopo di lui sono stati chiamate a deporre molti altri testimoni che, alla fine del 2010, frequentavano abitualmente il centro sportivo di Brembate Sopra. La maggior parte di questi ha dichiarato di non aver mai conosciuto la ragazza e tutti hanno negato di aver visto Bossetti prima del suo arresto, avvenuto il 16 giugno 2014. Tutti hanno spiegato che, pur avendo fatto mente locale dopo aver appreso la notizia della scomparsa, non ricordavano nulla di strano in quel tardo pomeriggio del 26 novembre 2010.
È battaglia sui testimoni della difesa. Proprio questa serie di testimonianze hanno scatenato la reazione del giudice Antonella Bertoja, la quale ha rimproverato i legali di Bossetti sottolineando come «non si può continuare con testimonianze che portano prove negative». In altre parole, la Bertoja ha chiesto alla difesa di cambiare strategia, puntando a portare sul banco dei testimoni soggetti in grado di portare realmente qualche novità processuale o necessari a smentire alcune delle tesi presentate dall'accusa, e non soltanto testimoni "negativi", ovvero usati solamente per dimostrare un'assenza di contatti tra il loro assistito e la vittima. Andrea Pezzotta, legale della famiglia Gambirasio, ha poi rincarato la dose: «Qualcuno ha visto qualcosa? Per ora nessuno ha visto niente». La Bertoja ha dunque chiesto a Camporini e Salvagni di presentare testimoni i cui racconti vertano su fatti avvenuti quantomeno in orari compatibili con quelli della scomparsa di Yara dal centro sportivo di Brembate Sopra. L'ultima a intervenire sul tema è stata Letizia Ruggeri: il pm, infatti, ha deciso di opporsi alla richiesta della difesa di chiamare a deporre in aula così tante persone, affermando che si tratta di «testimoni chiamati a deporre su circostanze irrilevanti e indeterminate. Saremo chiamati a sentire una serie di persone che non hanno visto e ci potranno rispondere solo con “non ricordo e non so”. Possono rientrare nella categoria dell’indifferenza. Non ce n’è uno che sia pertinente con l’oggetto dell’imputazione. Chiedo che non siano ammessi». La Corte d'Assise si è dunque riservata di decidere quanti e quali testimoni saranno ammessi.