La sentenza nel 2003

Il pensionato di Treviglio e lo stilista È ancora battaglia sul nome Armani

Il pensionato di Treviglio e lo stilista È ancora battaglia sul nome Armani
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Era il 1997. A Treviglio il signor Luca Armani gestiva la sua piccola attività, il Timbrificio Luca Armani. Internet era agli albori, almeno nel nostro Paese, ma iniziava ad essere usato da sempre più aziende. Il piccolo imprenditore trevigliese decide così di dare vita a un sito-vetrina per pubblicizzare la propria attività e lo registra sotto il dominio armani.it. Come potete ben immaginare, non passò molto tempo prima che un altro Armani, ben più noto e famoso del signor Luca, si accorse della cosa. La Giorgio Armani Spa, pochi mesi dopo, decise infatti di sbarcare nella rete ma si trovò la strada bloccata: il dominio che intendeva utilizzare, infatti, era di proprietà del signor Luca di Treviglio.

 

TREVIGLIO (BERGAMO) - LUCA ARMANI METTE IN VENDITA UN RENE PER FAR CAUSA ALLO STILISTA  GIORGIO ARMANI

[Luca Armani davanti al suo timbrificio di Treviglio]

 

La vicenda legale. La multinazionale della moda decise di proporre un accordo economico: 150mila Lire in cambio del passaggio del dominio. Luca Armani, però, ritenne l'offerta troppo bassa e rifiutò. Probabilmente offesa da quella reazione, la Giorgio Armani decise quindi di passare alle vie legali. Iniziò così uno dei primi processi italiani legati al diritto industriale, ed in particolare al diritto dei marchi, su Internet. Per 5 anni i due contendenti "lottarono" per vedersi riconosciute le proprie ragioni. La sentenza del Tribunale di Bergamo arrivò infatti nel 2003, e diede ragione alla multinazionale, condannando Luca Armani a pagare 13.526 euro più Iva alla Giorgio Armani Spa, a pubblicare a proprie spese la sentenza su Corriere della Sera e su Internet Magazine e a pagare 5mila euro al giorno per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione della sentenza.

Le motivazioni della sentenza. Il caso fu molto discusso, sia in ambito legale che su Internet. Il Tribunale di Bergamo, utilizzando un canovaccio all'epoca abbastanza consolidato nella giurisprudenza italiana, ritenne applicabile alla materia del "domain name" non già le norme tecniche emanate in tema di registrazione di domini Internet dalla Naming Authority italiana, incentrate in prevalenza sul principio "first come first served", ovvero, volgarmente, chi prima arriva ha ragione, bensì quelle dello Stato italiano recanti disciplina del marchio. Il marchio registrato, secondo tale provvedimento, attribuirebbe l’esclusiva non solo sull'’uso del marchio ma anche su quello del correlato nome a dominio. In sostanza, il Tribunale ritenne che il piccolo imprenditore trevigliese avesse voluto un po' fare il furbetto (forse): aveva tanti domini a disposizione, ma aveva scelto l'unico che potesse creare confusione agli internauti, i quali, digitando in rete la parola chiave "armani" di certo non si sarebbero mai aspettati di finire sul sito di un timbrificio bergamasco. Essendo inoltre il marchio della Giorgio Armani Spa un marchio cosiddetto notorio, dunque molto conosciuto, il rischio di confusione era evidente.

 

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La protesta di Luca Armani. Dal punto di vista legale, dunque, sebbene discutibile la decisione del Tribunale di Bergamo aveva, per l'epoca, una base legale e giurisprudenziale solida (oggi fortunatamente il diritto industriale e dei marchi ha fatto passi da gigante dal punto di vista della sua applicazione anche in Internet). Ma il popolo della rete insorse, ritenendo quello della multinazionale e dei giudici un vero e proprio sopruso nei confronti di un piccolo imprenditore, il quale reagì con veemenza: decise di non sottostare alla sentenza di primo grado e fare Appello. Luca Armani, inoltre, si mise in sciopero della fame, spiegando la sua protesta con una lettera aperta inviata e poi pubblicata sul portale Punto Informatico. Alla fine, nel silenzio dei media, la questione s'è risolta come spesso succede in questi casi: la Armani propose una nuova transazione economica all'imprenditore trevigliese, che questa volta accettò. Luca Armani, dunque, si intascò 150mila euro e la vicenda legale si chiuse lì.

Si riapre il caso? A distanza di oltre 10 anni, però, Bergamonews rende noto che l'oramai pensionato Luca Armani non ha ancora sepolto l'ascia di guerra. Il trevigliese, infatti, ha affermato di voler presentare una nuova denuncia, sperando forse che i tanti cambiamenti avvenuti in questi anni potrebbero portare a una sentenza diversa. «Voglio che si arrivi a un altro processo perché reputo ingiusta quella sentenza - ha dichiarato Luca Armani -. Penso sia corretto che venga stabilita una regola che valga per tutti, e non che ci si basi sulla discrezionalità di un giudice». C'è solo un problema: ne bis in idem. Questo brocardo esprime il principio del diritto secondo il quale un giudice non può esprimersi due volte sulla stessa azione, se si è già formata la cosa giudicata. In altre parole, non può esserci un secondo processo su un fatto che è già stato al centro di un precedente processo finito in giudicato. Affinché dunque il signor Luca Armani possa riaprire la diatriba con la multinazionale della moda bisogna che i suoi avvocati valutino molto bene la situazione. Anche se i 150mila euro intascati più di 10 anni fa, a nostro parere, potrebbero anche bastare, no?