Dentro le ville trash di Gomorra I retroscena di chi le ha arredate
Tigri in porcellana, cornici d’oro, consolle Luigi XV, librerie Roche-Bobois, bagni in marmo nero, tende damascate, discutibili ritratti di famiglia. Siamo dentro le case dei boss dell’ormai celeberrima serie tv Gomorra. Niente a che vedere con la solenne eleganza delle stanze del Padrino, niente a che fare con le topaie di Totò Riina. Questa non è la mafia, è la camorra. Il “gusto” è quello tutto napoletano dello strafare, modellato sulla scuola di Tony Montana, aka Scarface (Brian De Palma, 1983), e su un american dream nostrano per cui soldi sfacciati e potere vanno di pari passo. L’eleganza, ecco, quella, in effetti, proprio no. Ma come sono nati gli interni delle dimore di Gomorra? L’ha raccontato a Rivista Studio, in un articolo brillantemente titolato Interno criminale, Paki Meduri, lo sceneggiatore della fortunata serie tv.
Il sequestro della villa di Nicola Schiavone, nel 2012.
Esistono davvero. C’è senza dubbio meticolosa cura, nell’allestimento di questi interni, ma - ahinoi - molta poca fantasia. Le ricostruzioni sono basate sull’osservazione della realtà. Meduri svela di aver eseguito un «grande lavoro di ricerca», al seguito di svariati arrestati (boss e affini) e curiosando nelle case di chi disponeva di un po’ di soldi a Napoli. Ogni cosa è stata registrata: che tipo di quadri, che tipo di pavimenti, quale bagno… Precisa comunque Meduri: «In generale il nuovo gusto camorrista sembra avere influenze più straniere che italiane». Alla Scarface, si diceva. E per quanto riguarda la differenza Secondigliano/Scampia e Romanina, si può dire che la seconda mantenga netta la differenza tra esterni scialbi e poveri e interni sfarzosi, e una preferenza comunque più classica. Ad ogni modo tutte le dimore stanno collocate, con un ossimoro evidente e quasi ridicolo, in quartieri di miseria totale. Quelli su cui esercitano il potere.
Del resto, così Repubblica descriveva, quattro anni fa, l’irruzione nella villa di Casal di Principe di Nicola Schiavone: «Ci sono impianti di climatizzazione in ogni ambiente e due grandi cancelli elettrici agli accessi carrabili. I mobili sono tutti di lusso e di noti marchi. Anche le rifiniture sono di pregio, ma per il catasto era un’abitazione popolare. I vani interni sono come un museo del design e dell’arte contemporanea, con almeno dieci quadri di pittori contemporanei molto quotati, sedie Frau pieghevoli rosse e gialle del valore di mille euro l’una, pareti ricoperte di mosaici in tessere di vetro di Murano, come quelle del bagno della camera da letto di Nicola Schiavone e della moglie, parquet in radica di noce». Appunto.
La villa dei Savastano. Anche la villa dei Savastano esisteva già per davvero. Era di una persona normale, che si occupava di cavalli, e che poi, a contratto firmato, si è rivelata essere collusa in qualche modo con la criminalità, con conseguente sequestro della proprietà e blocco momentaneo delle riprese. È la tipica villa dei boss, «una specie di castelletto sudamericano, da Narcos, con le merlature, e gli intonaci rosa all’esterno, e tutto intorno il grande muro di cinta. Le ville dei camorristi che abbiamo visto hanno tutte questi enormi muri di cinta con le telecamere, e cancelli sempre chiusi». Comunque, la proprietà è stata cambiata molto, all’interno. Modifiche che non sono dispiaciute al proprietario, ai vicini e agli abitanti del quartiere, i quali l’hanno definita addirittura la casa dei loro sogni.
L’arredamento trash, tra tigri e Padre Pio. Dentro, ovviamente, c’è lo sfarzo trash di cui sopra. Quello per cui Meduri dichiara, senza troppi giri di parole: «Ho dovuto stuprare abbastanza il mio senso estetico. Però mi sono divertito molto». Innanzitutto, tigri, simbolo sgraziato di un potere che ha bisogno di ostentare se stesso: ce ne sono «tantissime. Due rampanti nel mobile che ho fatto fare nello studio di Pietro Savastano, coi libri finti e due nicchie dorate. Poi ci sono due tigri nere. C’è un quadro con un’enorme tigre che ruggisce. In camera di Genny pure ce n’è una nera; ci sono copriletti con tigri, e una tigre enorme nella camera da letto; qui c’è l’apoteosi della tigre; una statua dorata alta un metro e dieci, col capoccione grosso e gli occhi enormi di smeraldo Swarovski». Le han comprate, nella realtà, in un negozio di Napoli specializzato in animali in porcellana, lo stesso in cui hanno acquistato i due ghepardi e i dobermann di Salvatore Conte. E poi statue di Padre Pio, ovunque, ottanta in tutto. Le più belle vengono da Roma, dall’antiquario Agostinelli; le altre da botteghe napoletane.
Il ritratto di famiglia dei Savastano. Altra chicca che non sarà di certo sfuggita agli spettatori: il ritratto di famiglia dei Savastano. Anche qui, tutt’altro che un volo della fantasia. Spiega Meduri: «L’abbiamo fatto fare a un artista di Secondigliano molto quotato in zona, un dipinto a olio fatto con tutti i crismi. Lui non sapeva nulla del fatto che fosse una produzione televisiva, gli abbiamo portato le foto degli attori e lui l’ha fatto, anche molto velocemente, perché l’idea del ritratto ci è venuta all’ultimo, quando visitando alcune case di boss ci siamo resi conto che ovunque c’erano questi ritratti pseudo-nobiliari, come a voler ricreare un passato aristocratico. In questo laboratorio c’erano decine di quadri: tutti gruppi di famiglia, non solo della camorra ma anche di famiglie normali, molte prime comunioni, c’è una continua richiesta di queste cose». E anche per quanto riguarda l’opinabilissimo quadro della donna in lamé sopra i mobili finti neoclassici, non è stato commissionato appositamente: era già lì, pronto a dare un tocco di modernità all’ambiente, in un mercatino di Napoli. Come per tutto il resto della serie, la realtà supera (tristemente) la fantasia.