L'omicidio della deputata inglese e il voto sulla Brexit alle porte

Giovedì 16 giugno Helen Joanne Cox, comunemente nota come Jo Cox, è stata assassinata, a colpi di pistola e di coltello, a Birstall, piccola cittadina nei pressi di Leeds, in Inghilterra. Jo Cox era una deputata laburista del parlamento inglese, ed è stata uccisa mentre usciva da una biblioteca locale, dove era impegnata per la campagna elettorale del referendum sulla Brexit, cioè la possibile uscita del Regno Unito dall'Unione europea rispetto alla quale il popolo britannico sarà chiamato ad esprimersi il prossimo 23 giugno. L'attentatore, la cui identità non è ancora stata pienamente certificata ma che con ogni probabilità dovrebbe corrispondere a quella di tal Thomas Meir, ha atteso che la Cox uscisse dalla biblioteca, e stando alle dichiarazioni di alcuni testimoni l'omicidio sarebbe stato preceduto da un alterco fra i due. Pare inoltre, sempre secondo testimonianze dirette, che l'omicida abbia compiuto l'assassinio gridando “Britain first!”, “Prima la Gran Bretagna!”. Un fatto che acuisce ulteriormente il clima di tensione, già parecchio elevato, intorno al referendum, di cui giova ricordarne i punti salienti.
Jo Cox e l'omicidio, anzitutto. Deputata nelle file del Labour in seguito alle elezioni dello scorso anno, la Cox, oltre che essere uno dei politici più spiccatamente in prima linea rispetto al mantenimento dell'adesione della Gran Bretagna all'Ue, era molto attiva nel sostegno a diverse ong, specie se riguardanti tutele umanitarie e progetti di sviluppo. Descritta dal Guardian come “uno degli astri nascenti del Partito Laburista”, è stata, all'inizio della propria carriera politica, molto vicina a Jeremy Corbyn, salvo poi cambiare orientamento e appoggiare le posizioni più moderate di Liz Kendall. Come accennato, nella battaglia sulla Brexit che infiamma il Regno Unito da alcuni mesi a questa parte, Jo Cox era apertamente schierata per il “remain”, la permanenza nell'Ue, e si trovava a Birstall proprio per fini elettorali. Una volta uscita dalla biblioteca in questione, si è trovata davanti un uomo con cappello nero e giacca grigia; alcuni testimoni hanno riferito di una lite fra i due, non è chiaro il motivo, e ad un certo punto lui avrebbe tirato fuori un coltello, presumibilmente da caccia, e avrebbe ferito la donna, per poi colpire con tre colpi di pistola. Un uomo di 77 anni che ha tentato di intervenire è rimasto ferito, seppur lievemente. L'uomo poi ha tentato la fuga, ma è stato presto raggiunto e arrestato dalle forze dell'ordine, nel frattempo chiamate insieme ai soccorsi medici. Jo Cox è stata portata in ospedale per un disperato tentativo di salvataggio, ma si presume che la donne sia morte prima di raggiungere il pronto soccorso. L'assassino è probabilmente Thomas Meir, 52enne della zona che lavorava salturariamente come giardiniere. Difficile, per il momento, capire le motivazione che hanno spinto Meir a compiere questo gesto, soprattutto perché coloro che lo conoscono hanno dichiarato che si tratta di un uomo che non ha mai avuto particolari interessi politici, e ben distante da qualsiasi tipo di attivismo.
A una settimana dal referendum. Quanto accaduto, come accennato, non è certo un balsamo per una situazione, quella del referendum sulla Brexit, che sta dilaniando e dividendo la società e la politica britannica come poche altre. Al momento, stando ai sondaggi, sarebbe in vantaggio il “leave”, l'abbandono dell'Ue, per la gioia di alcuni partiti tradizionalmente antieuropeisti, come l'Ukip di Nigel Farage (una sorte di M5S del Regno Unito) e altre piccole formazioni radicali. Schierati, invece, per la permanenza nell'Ue sono l'intera sinistra britannica (il Partito Laburista, i Liberaldemocratici e lo Scottish National Party) e una buona fetta del Partito Conservatore, guidata dal Premier David Cameron, anche se da questa sponda del Parlamento è stata lasciata libertà di voto agli elettori. Nonostante le forze politiche tradizionali siano, dunque, tutte o quasi a favore della permanenza, sembra che il popolo britannico sia comunque maggiormente orientato ad abbandonare Bruxelles.
Le possibili conseguenze. Le ragioni addotte in favore del “leave” sono facilmente intuibili: emancipazione dai vincoli economici dell'Ue, indipendenza sotto tutti i punti di vista, costruzione di un mercato esclusivamente secondo le proprie esigenze e i propri progetti. La leva su cui i promotori del “remain” puntano per convincere l'elettorato riguardano i disastri a cui l'economia britannica andrebbe incontro in caso di abbandono: per quanto sia difficile stabilire con certezza cosa potrebbe accadere, è certo che il venir meno del principio della libera circolazione di merci, capitali e persone, caratteristica appannaggio dei Paesi membri, creerebbe un notevole impaccio al mercato e al mondo del lavoro. I sostenitori del “leave” dicono che questo non è un problema: il Regno Unito potrebbe fare come la Norvegia, cioè entrare a far parte dell’area economica di libero scambio europea ma senza immischiarsi nei suoi processi politici. Il Regno Unito importa dall’Europa più di quanto esporti, quindi è probabile che questo procedimento non sarà ostacolato dai Paesi europei, ma ci vorranno tempo e negoziati il cui esito non è mai scontato. Di converso, molte aziende europee o che fanno affari in Europa e che hanno la loro sede nel Regno Unito, per ragioni fiscali e perché Londra è una delle principali capitali finanziarie del mondo, in caso di uscita dall’Ue e con la relativa incertezza che regna sui futuri negoziati, potrebbero decidere di ridurre il loro personale a Londra e trasferirlo direttamente sul continente.