I raid Usa utili ad Hillary?

La nuova guerra occidentale in Libia (l'Italia torna nella Guerra Fredda)

La nuova guerra occidentale in Libia (l'Italia torna nella Guerra Fredda)
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Per la seconda volta in cinque anni l’Occidente muove guerra alla Libia. Da domenica, infatti, gli Stati Uniti hanno deciso di condurre una serie di raid aerei mirati contro il sedicente Stato Islamico a Sirte, la città dove nacque Gheddafi. Nelle mire americane i raid dovrebbero durare non più di trenta giorni, una guerra lampo quindi, e sono volti a liberare i circa 7mila civili rimasti (su quasi 100mila abitanti prima della guerra) tenuti in ostaggio dall’Isis che dal 2015 ha preso il controllo della città. A chiedere l’intervento occidentale è stato il premier libico Fayez al Serraj, alla guida del Paese dallo scorso mese di marzo. Serraj, il cui insediamento è stato non privo di difficoltà a causa delle resistenze da parte del governo islamista di Tobruk, è sostenuto dall’Onu e la sua principale missione è quella di condurre la Libia fuori dalla situazione di caos in cui è precipitata in seguito alla caduta di Gheddafi, provocata dall’altro grande intervento bellico occidentale nel 2011.

 

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Intervento diretto americano. Senza aver consultato il Congresso, ma solo accogliendo la richieste di Serraj, il presidente Usa Obama ha approvato la missione libica. A differenza degli altri due interventi americani dei mesi scorsi, novembre e febbraio, i raid che da due giorni stanno colpendo prevalentemente i depositi di armi del sedicente Stato Islamico sono destinati a segnare un punto di svolta nella storia del post Gheddafi. Mai prima di oggi era stato chiesto ufficialmente l’intervento di un Paese straniero da parte del governo libico, che sulla carta si impegna a dare la sua autorizzazione prima di ogni attacco americano. E mai prima di domenica, dal 2011, l’aviazione a Stelle e Strisce era intervenuta direttamente in Libia.

L’Italia in prima linea. Accanto agli Stati Uniti il primo Paese a schierarsi a favore di una nuova guerra è stata l’Italia. Dalla Farnesina, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni si è congratulato per la decisione di intervenire e ha assicurato che, se le autorità libiche (e Washington) ne faranno richiesta, la base di Sigonella e le altre infrastrutture militari italiane sono pronte a dare il loro supporto. Per il momento, almeno ufficialmente, non c’è una chiara presa di posizione a favore della guerra da parte italiana, ma la ministra della Difesa Roberta Pinotti riferirà oggi in Parlamento in merito all’accelerazione libica. In questi primi giorni i droni armati pare siano partiti da una nave anfibia americana ancorata al largo della costa libica. Non si esclude, tuttavia, un futuro coinvolgimento del suolo italiano. A dirlo sono soprattutto gli analisti di questioni belliche, che vedono inesorabile e ormai imminente, al più tardi entro la fine del mese, l’impiego delle basi di Aviano e Sigonella per il decollo dei droni.

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Putin condanna e chiede neutralità. La principale voce fuori dal coro è costituita dalla Russia. Il Presidente Putin, infatti, ha espresso tutto il suo disappunto nei confronti dell’intervento militare, affermando che gli Stati Uniti hanno agito senza che fosse mai stata varata una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu al riguardo, e chiedendo all’Italia di rimanere neutrale. Sembra quindi che un nuovo capitolo della guerra fredda tra Washington e Mosca si giochi sul terreno libico. Putin, così come il Parlamento di Tobruk, accusa i raid di illegalità, ma il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon respinge le accuse e appoggia Obama, affermando che la risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 2259 del 23 dicembre 2015 contiene l’esortazione agli Stati membri dell’Onu «a sostenere il governo di Accordo Nazionale, su sua richiesta, nella lotta all’Isis».

Raid utili a Hillary? Dietro la motivazione della risposta a una richiesta di aiuto formulata dal governo libico, però, c’è chi vede l’intervento americano come una mossa della campagna elettorale a favore di Hillary Clinton, accusata insieme a tutti i democratici da Donald Trump di non combattere per davvero il Califfato. A questo proposito è intervenuto anche l’analista Mattia Toaldo, dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr), che è uno dei massimi esperti della Libia post-Gheddafi, il quale ha evidenziato l’inusualità di un intervento – più politico che militare – da parte di un presidente a cui mancano pochissimi mesi prima di terminare il suo mandato: «Se i libici riusciranno sconfiggere l’Isis a Sirte, come hanno fatto a Falluja, l’amministrazione Obama riuscirà a portare acqua al mulino di Hillary Clinton e della sua campagna elettorale». Ma il vero rischio di questa nuova guerra, che si sviluppa in un contesto che vede la Libia al suo interno divisa per lo più tra il governo Serraj e il generale Khalifa Haftar, fedele a Tobruk, è quello di far nascere una nuova Siria.

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