Perché non ricordiamo quasi nulla dei nostri primissimi anni di vita

Questo articolo è la traduzione di un pezzo di Zaria Gorvett apparso su BBC.com il 26 luglio 2016.
Sei fuori a pranzo con qualcuno che conosci da anni. Insieme avete partecipato a feste, celebrato compleanni, visitato parchi e siete accomunati dallo stesso amore per il gelato. Siete stati in vacanza insieme. E loro – i vostri genitori – hanno speso per voi almeno 76mila euro. Il problema è: voi non ve lo ricordate. Dal giorno più drammatico della vostra vita – quello della vostra nascita – ai primi passi, le prime parole, le prime pappe, fino all’asilo, la maggior parte di noi non ricorda nulla dei suoi primi anni. Anche dopo il nostro primo ricordo, le memorie tendono a essere sempre poche, per quanto riguarda l’infanzia. Come mai?
Freud e l’amnesia infantile. Questo vuoto nei ricordi delle nostre vite ha frustrato genitori e fatti impazzire psicologi, neuroscienziati e linguisti per decadi. Era anche un’ossessione del padre della psicoterapia, Sigmund Freud, che coniò l’espressione amnesia infantile più di cento anni fa. Indagare quello spazio bianco mentale solleva alcune interessanti problematiche. Le prime memorie sono davvero accadute o sono semplicemente state create? Possiamo ricordare eventi senza essere capaci di ricostruirli a parole? E potrebbe essere possibile un giorno rievocare le nostre memorie perdute?
I bimbi imparano tanto e in fretta, ma… Una prima causa del problema viene dal fatto che i bimbi sono, sostanzialmente, spugne per le nuove informazioni, capaci di formare 700 nuove connessioni neuronali ogni secondo e detengono una capacità di apprendimento linguistico che farebbe morire d’invidia il più esperto poliglotta. Le ultime ricerche suggeriscono addirittura che le loro menti comincino ad apprendere già nella pancia della mamma. Ma, come anche da adulti, le informazioni poi si perdono nel tempo e non c’è modo di recuperarle. Così, una spiegazione all’amnesia infantile è semplicemente il risultato del naturale processo di dimenticanza delle cose che sperimentiamo durante tutta la nostra vita.
L’esperimento di Ebbinghaud. Una risposta arriva dal lavoro dello psicologo Tedesco dell’Ottocento Hermann Ebbinghaud, che condusse una serie di esperimenti pionieristici su se stesso per testare i limiti della memoria umana. Per assicurarsi che la sua mente fosse una lavagna bianca sulla quale lavorare, inventò la sillaba nonsense, una parola fatta di lettere a caso, come kag o slans, e cercò di memorizzane centinaia. Il grafico della sua dimenticanza segna lo sconcertante rapido declino della capacità di richiamare alla mente le cose che abbiamo imparato: lasciato solo, il nostro cervello getta via la metà del materiale in circa un’ora. E al giorno 30, ne avremo conservato solo il 2-3 percento. Ebbinghaus scoprì che il modo in cui dimentichiamo è in realtà totalmente prevedibile.
Per scoprire se le memorie dei bambini sono in qualche modo diverse, tutto ciò che dobbiamo fare è comparare i grafici. Quando fecero i conti negli anni Ottanta, gli scienziati scoprirono che rievochiamo meno memorie comprese tra la nostra nascita e l’età di sei-sette anni di quello che ci aspetteremmo. Chiaramente, qualcosa di diverso è in atto. La cosa interessante è che il velo si alza prima per alcuni rispetto che per altri. Alcune persone possono ricordare eventi di quando avevano due anni, mentre altre potrebbero non avere alcuna memoria di nulla fino ai loro sei-sette anni. In media, ricordi traballanti compaiono a partire dai tre anni e mezzo. Ancora più interessante è il fatto che le differenze nel dimenticare sono state osservate anche a livello geografico, e il cambiamento di luogo può determinare una variazione di due anni nelle memorie.
C’entrano anche cultura e società. Potrebbe questo offrire qualche indizio per spiegare lo spazio vuoto della memoria? Per scoprirlo, la psicologa Qi Wang della Cornell University ha raccolto centinaia di memorie degli studenti del college cinesi e americani. Come da prevedibili stereotipi culturali, le storie americane erano più lunghe, più elaborate e abbondantemente egocentriche. Quelle cinesi, invece, erano più corte e più legate ai fatti; in media, cominciavano anche sei mesi più tardi.
È un quadro confermato da numerosi altri studi. Quelli con memorie più dettagliate e egocentriche sembra che trovino più semplice il ricordare. È vero che pizzico di interesse in se stessi può essere utile, poiché aiuta a sviluppare una propria prospettiva che conferisce significato agli eventi. «È la differenza tra il pensare “C’erano delle tigri allo zoo” e “Ho visto delle tigri allo zoo e, anche se facevano paura, mi sono divertito molto”», spiega Robyn Fivush, psicologo alla Emory University.
Quando Wang replicò di nuovo lo stesso esperimento, questa volta chiedendo alle madri degli intervistati, scoprì lo stesso quadro. In altre parole, per quelli con la memoria pigra: prendetevela coi vostri genitori. La prima memoria di Wang era un’escursione in montagna attorno alla casa della sua famiglia a Chongqing, in Cina, con sua madre e sua sorella. Aveva circa sei anni. Solo che, fino a quando si è trasferita negli Usa, nessuno gliel’aveva mai chiesto. «Nelle culture orientali le memorie d’infanzia non sono importanti. Le persone si chiedono “Perché dovrebbe interessarmi?”. Invece, se la società ti spiega che quelle memorie sono importanti per te, tu te le terrai strette», spiega Wang. Per questo, il record della più precoce memoria va ai Maori della Nuova Zelanda, la cui cultura è caratterizzata da una forte enfasi sul passato; qui molti si ricordano eventi accaduti quando avevano solo due anni e mezzo.
Dipende dallo sviluppo del linguaggio? La nostra cultura può anche determinare il modo in cui parliamo delle nostre memorie: alcuni psicologi sostengono che si formino solo quando abbiamo sviluppato l’abilità di parlare. «La lingua aiuta a fornire una struttura, un’organizzazione per le nostre memorie, che è narrativa. Creando una storia, l’esperienza diventa più organizzata e al tempo stesso più facile da ricordare nel tempo», dice Fivush. Alcuni psicologi sono invece scettici sul fatto che il linguaggio eserciti questo ruolo. Per esempio, non c’è differenza tra l’età della prima memoria per i bambini che sono nati sordi e sono incapaci di parlare.
Il caso del paziente HM e il nostro ippocampo. Questo ci conduce alla teoria che non riusciamo a ricordare i nostri primi anni semplicemente perché il nostro cervello non ha sviluppato l’equipaggiamento necessario. La spiegazione viene dal più famoso uomo nella storia della neuroscienza, conosciuto semplicemente come paziente HM. Dopo una malfatta operazione per curare la sua epilessia che danneggiò il suo ippocampo, HM divenne incapace di ricordare qualsiasi evento. «È il centro della nostra abilità di imparare e ricordare. Se non fosse per l’ippocampo io non riuscirei a ricordare questa conversazione ora», spiega Jeffrey Fagen, che studia memoria e apprendimento alla St. John’s University. Ciò che è interessante, comunque, è che il paziente era ancora capace di informare nuovi tipi di informazioni – proprio come i bambini. Quando gli scienziati gli chiesero di copiare un disegno di una stella a cinque punte guardando in uno specchio (più difficile di quel che sembra), migliorò ad ogni tentativo di pratica, nonostante l’esperienza fosse totalmente nuova per lui.
Forse, quando eravamo piccini, l’ippocampo semplicemente non era sviluppato abbastanza per costruire memoria di un evento. I cuccioli di ratto, scimmie e umani continuano ad aggiungere nuovi neuroni all’ippocampo per i primi anni di vita e siamo tutti incapaci di formare memorie durature da infanti – e sembra che il momento in cui smettiamo di creare nuovi neuroni, improvvisamente diveniamo capaci di farlo. «Per cuccioli e bambini l’ippocampo è molto sottosviluppato», puntualizza Fagen.
Ma questo piccolo ippocampo sottosviluppato perde le memorie a lungo termine o semplicemente non si sono mai formate? Dato che gli eventi della nostra infanzia possono continuare a condizionare il nostro comportamento anche molto tempo dopo che ce li siamo scordati, gli psicologi pensano che rimangano in qualche posto. «Le memorie probabilmente sono archiviate in qualche posto al momento inaccessibile, ma è molto difficile da dimostrare empiricamente», dice Fagen.
Tante memorie sono inventate di sana pianta. Dovremmo comunque essere molto diffidenti su quello che ci ricordiamo di quel tempo, comunque – la nostra infanzia è probabilmente piena di false memorie di eventi che non sono mai accaduti. Elizabeth Loftus, una psicologa della University of California, ha dedicato la sua carriera allo studio di questo fenomeno. «Le persone possono raccogliere tracce e iniziare a visualizzarle fino a quando diventano come memorie», spiega. Loftus sa in prima persona quanto facilmente questo accada. Sua madre annegò in una piscina quando lei aveva solo 16 anni. Anni dopo, una parente la convinse che era stata lei a scoprire il suo corpo galleggiante. Tutto emerse come fosse vero, fino a quando, una settimana dopo, la stessa parente la chiamo e le spiegò che si era sbagliata – era stato qualcun altro.
Naturalmente, a nessuno piace sentirsi dire che le sue memorie non sono vere. Per convincere gli scettici, Loftus sapeva che avrebbe avuto bisogno di una prova inequivocabile. Negli anni Ottanta, si offrì volontaria per uno studio e creò memorie per gli altri. Loftus ideò un’elaborata bugia su un viaggio traumatico a un centro commerciale dove i partecipanti si erano persi, prima di essere salvati da un’anziana gentile ed essere riuniti ai propri parenti. Per rendere l’evento più plausibile, coinvolse anche le loro famiglie. «Abbiamo sostanzialmente detto ai nostri partecipanti allo studio che “abbiamo parlato con le vostre madri e le vostre madri ci hanno detto che una volta vi è successo qualcosa”». Almeno un terzo delle sue “vittime” ci credette, e alcuni addirittura ricordarono l’evento con dettagli vividi. In effetti, abbiamo maggiore padronanza di memorie immaginarie che di quelle che ci sono accadute davvero.
Così, anche se le vostre memorie sono basate su eventi reali, sono probabilmente state plasmate e riformate col senno di poi – memorie create da conversazioni piuttosto che ricordi in prima persona su eventi reali. Quella volta che pensavate sarebbe stato divertente trasformare vostra sorella in una zebra con un pennarello indelebile? L’avete visto in un video di famiglia. L’incredibile torta per il vostro terzo compleanno che vostra madre di aveva preparato? Ve l’ha raccontato vostro fratello maggiore. Forse il più grande mistero non è perché non ci ricordiamo la nostra infanzia, ma se qualcuna delle nostre memorie è davvero credibile o no.