La puntata del Last Week Tonigh

La crisi mondiale del giornalismo spiegata da uno che ci capisce

La crisi mondiale del giornalismo spiegata da uno che ci capisce
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John Oliver è il conduttore inglese di un popolare show chiamato Last Week Tonight, che va in onda ogni domenica sera sulla rete televisiva americana HBO. Durante il suo show, Oliver – che è brillante e decisamente simpatico, un comico 2.0 che prende la comicità molto seriamente – parla di svariati argomenti, principalmente legati a fatti di attualità e politica. Ha il dono di rendere accessibili ai più temi abbastanza complessi, e le sue opinioni su un determinato soggetto sono raramente scontate. Nell’ultima puntata di Last Week Tonight, andata in onda domenica 6 agosto, Oliver ha discusso della crisi del giornalismo cartaceo, e ha spiegato perché il problema non riguarda solo i giornalisti. Riguarda tutti.

 

Qui sotto lo spezzone integrale dell’episodio in questione di Last Week Tonight del 6 agosto.

 

L'informazione sui socialAl giorno d’oggi, molti di noi sono abituati a ricevere notizie via Facebook, Twitter, o Google. Tutto è lì, apparecchiato perfettamente e a portata di click. Oliver nota però come i vari social network non facciano altro che rimpacchettare il lavoro svolto dalle redazioni di vari giornali. Di frequente le tivù fanno la stessa cosa. Guardando un telegiornale o un programma di attualità, sentiamo spesso qualche giornalista televisivo dire una frase del tipo: «Come ha riportato Il Resto del Carlino...» o «Secondo un giornalista de La Repubblica...». Secondo Oliver, la “catena alimentare” dei media cadrebbe a pezzi senza il giornalismo locale. Ma il giornalismo locale è in crisi nera – e questa non è una novità. Forse la novità è pensare alle conseguenze di questa crisi.

La crisi del cartaceo. Secondo i dati della Newspaper Association of America, nel decennio 2004-2014 le testate online degli Stati Uniti hanno guadagnato due miliardi di dollari dalla pubblicità online. Non male, si tenderebbe a pensare intuitivamente; non fosse che nello stesso decennio hanno perso trenta miliardi provenienti dalla pubblicità stampata sul cartaceo. Difatti, nel 2004, le testate americane hanno guadagnato dalle pubblicità sul cartaceo 46.7 miliardi di dollari. Per lo stesso tipo di pubblicità, nel 2014 ne hanno guadagnati 16.4. Per questo, molte testate americane sono diventate “digital-first companies”, cioè compagnie che si focalizzano principalmente sulla versione online della testata di riferimento.

 

 

Cambia il lavoro del giornalista. Come conseguenza di tutto ciò, il lavoro dei giornalisti sta subendo una radicale trasformazione. Marty Baron, editore esecutivo del Washington Post, ha recentemente espresso le sue preoccupazioni relative a questo mutamento della professione. Ha affermato che i giornalisti di oggi devono «fare i loro reportage tradizionali, devono essere presenti sui social media, devono produrre un servizio da agenzie di stampa che dev’essere disponibile 24 ore al giorno, devono produrre video ... È molto da chiedere».

Sempre meno reporterIl problema viene anche alimentato dal fatto che i reporter sono sempre di meno. Uno studio effettuato su 200 giornali dal Pew Research Center, che è un think tank americano con sede a Washington, ha scoperto che dal 2003 al 2014 il numero di reporter a tempo pieno è calato del 35 percento. In relazione a questo dato, Oliver afferma che «non è per niente un bene, perché nonostante siano ancora presenti testate online che coprono la politica locale, non c’è verso che queste riescano a rimpiazzare ciò che è stato perso.» Proprio per questo motivo David Simon, ex-giornalista e creatore dello show televisivo The Wire, ha affermato di recente che «Non c’è gloria nel lavoro dei reporter, ma quel lavoro è il fondamento di ciò che ci permette di essere informati. I prossimi dieci o quindici anni in questo Paese ... saranno un gran periodo per i politici corrotti. Li indivio davvero».

 

 

Una soluzione: un proprietario ricco. Continua Oliver: «È sicuramente intelligente la scelta dei giornali di espandersi online, ma il pericolo che si cela dietro questa scelta è la tentazione di gravitare verso ciò che riceve più click... Ma quello che è più popolare non necessariamente è anche quello che è più importante». Molte compagnie editoriali sono effettivamente disperate, e non sembra che in futuro abbiano una chiara strada da seguire. Una soluzione è quella di farsi comprare da qualche benefattore miliardario. Jeff Bezos, fondatore di Amazon, ha acquisito il Washington Post nel 2013, e da allora la testata della capitale ha fatto del giornalismo che Oliver non stenta a definire «spettacolare». Ma avere un proprietario molto ricco ha diversi aspetti negativi. Per esempio, diventa difficile riportare fatti legati al proprietario del giornale in modo obiettivo.

Le conseguenze negative riguardano tutti. Secondo il conduttore britannico la colpa di questa crisi è però riconducibile anche a tutti noi, e alla nostra scarsa disposizione a pagare per il lavoro prodotto dai giornalisti. Ci siamo abituati a ricevere notizie gratis, e questa abitudine ci renderà sempre meno inclini a pagare per riceverne. Conclude Oliver: «Prima o poi dovremo iniziare tutti a pagare per il lavoro dei giornalisti, o ne pagheremo tutti le conseguenze». Il finto trailer di un film alla fine dell’episodio di Last Week Tonight mostra una redazione giornalistica che discute se pubblicare o meno uno scandalo legato alla corruzione politica. La cosa sembra parecchio scottante, ma all’ultimo momento il direttore afferma davanti a tutti: «Mh, non sono sicuro di quanti click possiamo ottenere con questa notizia. Qualcosa d’altro?» E una giornalista risponde: «Ho una notizia legata ad un gatto che assomiglia ad un procione, o potrebbe essere un procione che assomiglia un gatto. Aspetta, non sono sicura». E il direttore: «Adesso ci capiamo. Scopriamolo!».

 

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