Piccolo ricordo di un uomo grande
Come si accoglie un Presidente della Repubblica? Che cosa prevede il protocollo? Quali sono le parole giuste da usare? Nei giorni che precedettero la visita di Carlo Azeglio Ciampi a L’Eco di Bergamo – avvenuta il 7 maggio di tredici anni fa -, la redazione e l’azienda erano in grande fibrillazione. Non era la prima volta che un Capo dello Stato in visita alla città faceva tappa al maggiore quotidiano locale. Alcuni anni prima Oscar Luigi Scalfaro era passato, ma la sua era stata una visita privata, fugace, consumata con una stretta di mano e due battute in una sala del Centro Congressi. Non c’erano stati discorsi, né attesa. Scalfaro venne salutato con una certa freddezza a Bergamo. Con Ciampi fu un’altra cosa.
Dal Quirinale arrivò una telefonata: «Il presidente ha espresso il desiderio di venire in visita ufficiale a L’Eco durante il suo viaggio a Bergamo». Dall’altra parte del filo c’era il capo ufficio stampa Arrigo Levi, esperto giornalista e scrittore. Fra colleghi ci si dà del tu e entrare in sintonia non fu difficile. I giorni seguenti furono segnati dai preparativi. “In forma ufficiale” vuol dire che il cerimoniale definisce ogni passo nei minimi particolari, dall’ora di arrivo alle persone invitate, dalla durata dei discorsi ai minuti del giro in redazione. I tempi, soprattutto i tempi, sono assolutamente da rispettare, perché un presidente non è padrone di se stesso, anche e soprattutto per ragioni di sicurezza. Il giornale si preparò come si conviene: scrivanie vuote e pulite, via le scritte e le immagini non consone dalle bacheche, toni di voce bassi. Giornate frenetiche in attesa dell’illustre ospite.
In quelle settimane Bergamo stava vivendo un dramma. L’alluvione in Val Brembilla aveva portato via la casa a tante famiglie. L’annuncio della visita di Ciampi fu sentito anche come un gesto di affetto e di vicinanza di Roma e dello Stato.
All’ora prevista Ciampi arrivò col seguito di auto blu e uomini della sicurezza. Toccò a me, come direttore del giornale, il privilegio di accoglierlo al portone di Palazzo Rezzara. Mi era stato detto di avvicinarmi a lui solo dopo che uno dei suoi accompagnatori avesse aperto la portiera. Il Capo dello Stato uscì dall’auto senza fatica e fu lui per primo a venirmi incontro. «Signor Presidente, le do il benvenuto a L’Eco di Bergamo». Mi piaceva l’idea che al Presidente della Repubblica ci si potesse rivolgere con un semplice “signor”. Ciampi era sereno e cordiale, attendemmo sua moglie, la mitica signora Franca, e me la presentò.
Il momento successivo prevedeva la salita in ascensore. Feci strada. Tre piani praticamente da soli, pochi secondi nei quali ogni tensione si sciolse. «Direttore, come va?», chiese in modo molto informale e diretto. La sua semplicità, caratteristica degli uomini grandi, mi fece sentire subito a mio agio. All’ingresso della redazione sembravamo già due vecchi conoscenti. Entrò, salutò il vescovo Roberto Amadei e poi volse lo sguardo a monsignor Andrea Spada, lo storico direttore de L’Eco, che per l’occasione aveva accettato di essere presente nonostante gli acciacchi dell’età. Si strinsero la mano con affetto, come due reduci di tante battaglie vinte e perse.
Sul resto della visita non vi sto a tediare, dirò solo che fu tutto in discesa: in diretta dal sito, che stava allora muovendo i primi passi, il presidente inviò un saluto ai bergamaschi, poi volle stringere la mano a tutti i giornalisti e infine fu il momento dei discorsi. Non ricordo esattamente né che cosa gli dissi e né quel che rispose, sarà pubblicato da qualche parte su L’Eco. Ho però ancora ben presente che monsignor Spada seguiva commosso in piedi stando in prima fila. Lo invitai a salire sul palco e alla fine il Presidente e lo storico direttore si intrattennero a chiacchierare a lungo come due vecchi amici, mentre gli uomini del cerimoniale continuavamo a farmi segno di interromperli, che era ora di andare. Feci finta di non sentirli.
Quando Ciampi lasciò il giornale, nemmeno un’ora dopo il suo arrivo, l’impressione fu quella di aver passato con lui un giorno intero. Eravamo tutti contenti. Lo era anche lui, e non mancò di farcelo sapere. Il giorno dopo, al termine della sua visita in Bergamasca, mentre stava rientrando a Roma, squillò il telefono: «Buongiorno direttore, le passo il presidente Ciampi». Volle ringraziarci di persona per il modo in cui l’avevamo accolto e per le pagine che gli avevamo dedicato: «Ho girato tante città, ma non mi è mai capitata una simile accoglienza e tante belle pagine di giornale. Vi ringrazio di cuore, non vi dimenticherò».
Poi ci si chiede perché un presidente è più amato di un altro e perché con Ciampi è cresciuto l’orgoglio di essere italiani. Con parole altisonanti, ora che è morto, in tanti lo hanno definito un patriota. A noi era sembrato piuttosto un vero padre.