Chi sono i guerriglieri peshmerga
Nei giorni in cui i miliziani dell’Isis avanzano in Iraq, Renzi vola a Baghdad per ribadire: «Insieme li batteremo». Intanto, incassato il via libera dalle commissioni parlamentari, il governo italiano si appresta a spedire le armi ai peshmerga curdi. Contribuiti massicci verranno inviati anche da USA, Francia, Gran Bretagna e Germania. Gli analisti dell’intelligence italiana e gli stati maggiori sostengono che i peshmerga potrebbero rovesciare la situazione e porre fine al genocidio delle minoranze cristiane, yazide e sciite, da settimane nel mirino dei fanatici islamisti. Ma chi sono, esattamente, i peshmerga?
Per la lingua curda sono “coloro che affrontano la morte” (pesh: prima, merga: morte), e l’esito di quanto sta accadendo in questi giorni attorno alla piana di Ninive, in Iraq, dipenderà molto dal loro spirito battagliero, plasmato da anni di conflitti e sottomissioni che il territorio curdo ha dovuto subire.
I peshmerga (in cui è presente un intero reggimento femminile) ora hanno alle spalle l’aiuto dei droni statunitensi, conciliandosi con una bandiera, quella a stelle strisce, sotto la quale già nella guerra a Saddam si sono trovati a combattere. Ma il corso della loro storia più volte li ha messi da soli a difendere i propri confini, talvolta, addirittura, con spaccature e lotte tra fazioni curde diverse.
Perché la storia dei peshmerga si unisce a filo doppio a quella della terra per cui combattono, il Kurdistan, nazione a cavallo tra stati diversi e mai indipendente. Nell’Iraq post-Saddam sono riusciti ad ottenere una regione federale, col sogno di vedere quel territorio espandersi e inglobare tutto l’altipiano curdo, ritagliando città a Iran, Siria e Turchia.
La cronaca recente di questo popolo è diversa di poco a quella di secoli fa: i peshmerga nascono addirittura a fine Ottocento, e all’inizio sono soltanto guardie tribali con scarsa organizzazione, dote che conobbero quando l’Impero Ottomano cadde alla fine della Prima Guerra Mondiale, sconvolgendo i confini della zona. I curdi attendevano dalla Società delle Nazioni un territorio, ma l’ascesa di Mustafa Kemal in Turchia bloccò questo processo, lasciando nel 1924 i curdi divisi tra stati diversi.
Nuova linfa prese la lotta d’indipendenza dopo la Seconda Guerra Mondiale: con l’aiuto dell’Unione Sovietica, nel ’46 i peshmerga proclamarono la repubblica di Mahabad, in Iran, che fu però una formazione effimera, pronta a crollare non appena i russi si ritirarono lasciando spazio alla riconquista iraniana. Nei decenni a seguire, i peshmerga plasmarono l’essenza del loro corpo armato, diventando un vero e proprio gruppo di guerriglia durante il conflitto tra Iran e Iraq degli anni Ottanta.
Molti curdi disertarono l’esercito di Saddam, e quando tentarono poi di coalizzarsi per conquistare spazi per una loro nazione il rais intervenne con forza. Sono gli anni della campagna “Anfal”, quello che oggi è considerato un autentico genocidio di curdi: l’evento più drammatico fu l’attacco con armi chimiche nel villaggio di Halabja, quando 5mila persone morirono soffocate con gas al cianuro.
Solo con l’invasione americana del 2003 i peshmerga riescono a guadagnare vittorie e territori, diventando un alleato importante per gli Stati Uniti nella guerra contro Saddam. Ma intanto si era consumata un’autentica guerra civile nel Kurdistan iracheno: da una parte il Kurdish Democratic Party di Massoud Barzani, dall’altra il Patriotic Union of Kurdistan di Jalal Talabani. Ragioni di leadership su quel territorio che spingeva per avere sempre più libertà.
Ma la storia attuale del Kurdistan dice che quei conflitti sono acqua passata: se ora i curdi riescono ad essere saldi nel contrastare l’avanzata dell’Isis è proprio perché sono arrivati ad ottenere una certa stabilità interna, democratica ed economica. Le due fazioni politiche si sono spartite alcuni poteri, nella speranza di uno stato curdo sempre più autonomo e potente. E in più si sono avvicinate fortemente alla Turchia, intavolando un processo di pace fatto di concessioni economiche e petrolifere. Non è un caso se, negli ultimi dieci anni, gli investimenti stranieri verso questo territorio si sono moltiplicati. E non è un caso se a giugno, quando la Guardia nazionale irachena ha voltato i tacchi di fronte all’avanzata dell’Isis, i peshmerga sono stati in grado di rimpiazzarla in poche ore, reggendo a fatica un fronte su cui ancora adesso si gioca tantissimo.