Bergamo in Ubi produce ricchezza Lasciateci almeno la beneficenza
Qualcuno ha parlato di «fuoco amico», ma di sicuro certi dettagli prima della fusione andranno chiariti. Se non altro perché Banca Popolare di Bergamo genera utili per Ubi pari all’80-90 percento del totale. La locomotiva, la chiamano.
Tra poco perderà 38 filiali sul territorio bergamasco e tra qualche mese continuerà a trascinare il terzo gruppo bancario italiano, ma lei come banca autonoma non ci sarà più: nel cosiddetto “Bancone”, della Banca Popolare di Bergamo resterà solo il marchio affisso sulle filiali, utile a rassicurare i clienti più fedeli che le cose sono ancora quelle di una volta.
Le cose, invece, saranno radicalmente cambiate, a partire dai centri decisionali che si sposteranno sempre più verso Milano. Tutto questo, inevitabilmente, porterà conseguenze anche sulle fondazioni e sulle cosiddette «erogazioni liberali», ossia sulla beneficenza. E siamo al punto. Che potrebbe sembrare un particolare, ma cifre alla mano è molto di più. Nel 2008, prima della crisi, Ubi Banca aveva garantito al territorio bergamasco circa 16milioni di euro in beneficenza. Non c’era iniziativa, associazione culturale o di volontariato, ente pubblico o gruppo sportivo che bussando alla porta di una qualsiasi filiale, non ne uscisse senza un piccolo o grande contributo. La banca, in qualche misura, accontentava tutti sostenendo il territorio.
La crisi s’è portata via gran parte di quel bendiddio. Basti dire che l’anno scorso il “sistema Banca popolare” - ossia l’insieme di Fondazione, fondi del Consiglio della Bpb ed elargizioni del Consiglio di amministrazione –ha destinato al territorio una quota che si è aggirata sui 6.3 milioni. Dieci milioni in meno rispetto all’inizio dell’avventura Ubi (2007). E la Bergamasca ne ha risentito, eccome. Nell’ultimo quinquennio la media era stata di 6.9 milioni, e quindi nell’ultimo anno si sono “persi” altri 600mila euro. E oggi un’associazione che ha necessità di essere aiutata non sa più dove andare a bussare.
Ma non è ancora tutto. Il piano industriale di Ubi a seguito della fusione prevede la divisione della banca unica in cinque grandi macro-aree e il rischio per noi è che l’area Bergamo venga limitata sia geograficamente (oggi la Popolare comprende Milano e Roma) sia economicamente. Se il criterio è questo, nel tempo è inevitabile che per il nostro territorio le elargizioni saranno ulteriormente ridimensionate, anche se in una prima fase potrebbero essere adottati criteri di suddivisione che tengono conto dei dati pregressi. A regime però questi vantaggi non ci saranno più e la Popolare si vedrà assegnare contributi parametrati alla sua area e non alla ricchezza prodotta, finendo così per avvantaggiare altre zone, in particolare al Sud. È vero che nelle segrete stanze di Ubi si sta ancora discutendo ma, senza una visione chiara, è facile che si vada verso una distribuzione “democratica” anziché meritocratica.
A suonare il campanello d’allarme – eccoci al «fuoco amico» di cui si parlava all’inizio - è stato nei giorni scorsi il presidente del Patto dei Mille, Matteo Zanetti, figlio dello storico presidente, che attualmente è a capo della Fondazione Bpb. Un estremo tentativo di salvaguardare quel che resta del potere del padre? Non scherziamo. In ogni banca che si rispetti le Fondazioni sono importanti fattori di crescita dei territori e non sono teleguidate dai Consigli di Sorveglianza. Non ci risulta che Ubi abbia approfondito questo tema e non vorremmo che Bergamo, dopo aver portato ricchezza e professionalità alla nuova grande banca, debba presentarsi a Milano con il cappello in mano. Visto quello che qui si produce, lasciateci almeno la beneficenza.