Gigi, “morto” in casa e poi salvato

Adesso Gigi Rota è qui, in questa linda camera della casa di cura Palazzolo, sta abbastanza bene. Ma quando ripensa a quello che ha vissuto gli si inumidiscono gli occhi. Racconta: «A un certo punto ho avuto paura, ho avuto paura che nessuno se ne accorgesse, che i miei parenti per qualche motivo in questi giorni non mi cercassero. Sono rimasto per due giorni e due notti senza bere, senza mangiare, costretto sul pavimento perché non ce la facevo a rialzarmi. Se non l’hai provato non riesci a renderti conto di che cosa significhi essere nella propria casa, sdraiato, senza la possibilità di alzarti per ore. Non ce la facevo a tirarmi su».
Gigi Rota ha 74 anni, abita nel quartiere di San Paolo in un condominio di cinque piani. Vive da solo, la sua vita segue ritmi precisi. Racconta: «Mi alzo la mattina alle sei, è un’abitudine che ho da quando facevo l’operaio metalmeccanico da Rissini. Alle 7 esco di casa, vado al bar, un bar di via Broseta, è come se fosse un po’ la mia seconda casa. Resto lì fino a mezzogiorno, leggo i giornali, faccio qualche parola. Poi torno per il pranzo, me lo portano quelli del servizio domiciliare, me lo lasciano davanti alla porta. Prendo la confezione, la faccio scaldare. Mi avanza sempre qualcosa, lo riscaldo ancora alla sera, così vado avanti. La sera vado a dormire presto. Non sono sposato, non ho figli. Qualche volta la solitudine pesa. Però nel condominio mi conoscono, la gente mi vuole bene».
Dopo pranzo, Gigi va a riposare. Martedì di settimana scorsa è andato a riposare come sempre, verso le quattro si è svegliato, è sceso dal letto. «Non so che cosa sia successo in quel momento, ma sono scivolato, sono finito per terra. Nel 1978 ho subito un ictus che mi ha menomato la parte destra, ma ho recuperato abbastanza bene. Certo, non sono in grande forma e ho qualche chilo di troppo. Il mio incubo è cominciato. Ho afferrato la sponda del letto con le mani, ho cercato di sollevarmi e... non ce l’ho fatta. Ho riprovato. Niente. Le braccia funzionavano bene, ma le gambe non mi aiutavano. Allora ho cominciato a strisciare, ho pensato che in bagno avrei trovato degli appigli migliori». Improvvisamente la casa gli è sembrata qualche cosa di estraneo, come una prigione. Prosegue: «Nel bagno mi sono attaccato al lavabo, poi alla tazza del water... sono riuscito a tirarmi su un po’, ho pensato che forse potevo farcela, invece no, invece le gambe erano troppo deboli. Sono rimasto sdraiato per un po’ sul pavimento. Poi ho strisciato di nuovo».
È venuta sera. A quel punto – confessa il pensionato – ha provato paura. Paura di venire dimenticato. Ha detto: «Mi sono detto che dovevo restare calmo per un po’, che dovevo recuperare le forze. Ho aspettato con la faccia sul pavimento, poi mi sono mosso verso la cucina, sono arrivato al tavolo con le sedie e ho portato le mani fino al sedile, cercavo di mettermi in ginocchio, se ci fossi riuscito avrei risolto il mio problema. Ma non riuscivo. Era un incubo». Niente cena, niente acqua. Gigi è rimasto sul pavimento e ha pensato a quante persone vengono ritrovate dopo settimane perché nessuno si accorge di loro, quante persone potrebbero venire salvate se esistesse una rete di solidarietà di parenti e di vicini di casa. Ha pensato a quanto è brutta la solitudine. A quel Vangelo che dice chiaramente che se sei solo non c’è nessuno che può aiutarti a rialzarti. Tanti pensieri. Poi si è addormentato.
«Ho avuto freddo quella notte, ma ho dormito. Ho pensato che avevo riposato, che stavolta ce l’avrei fatta. Ho strisciato fino al letto, mi sono aggrappato di nuovo alla sponda, ho fatto forza, quasi ce la facevo... invece niente. Ero impaurito. Non potevo telefonare, non potevo fare niente. Non riuscivo nemmeno a mettermi su un fianco, ero lì, a pancia in giù, la faccia sul pavimento». È passato tutto il giorno, è venuta la sera, poi un’altra notte. Racconta Gigi: «Al mattino verso le 8.30 ho sentito suonare da basso, il citofono, ma non potevo rispondere. È passato qualche minuto e mi sembrava che il tempo non passasse più. Ma poi ho sentito battere alla porta. Ho gridato, ho detto che non potevo muovermi. Ho sentito parlare dall’altra parte, una persona mi ha detto che era della polizia. Io ho detto che non potevo aprire, che ero a terra. Lui mi ha detto di stare calmo, che mi avrebbero tirato fuori». La porta è stata aperta, i volontari della Croce Rossa sono entrati in casa, hanno posto l’uomo sulla barella, lo hanno portato in ospedale. Nel frattempo è arrivata anche una nipote.
Ora Gigi è qui seduto, gli occhi umidi di commozione, dice: «Se fossi stato davvero solo sarei morto lì, e voi giornalisti avreste scritto di una nuova tragedia della solitudine. Invece ci sono persone che hanno pensato a me, che hanno dato l’allarme, io devo ringraziarle perché mi rendo conto che se sono qui adesso è grazie a chi non ha alzato le spalle, ma mi ha voluto bene, ha voluto capire quello che stava succedendo».