A Leonard Cohen, un poeta

«It is with profound sorrow we report that legendary poet, songwriter and artist, Leonard Cohen has passed away. We have lost one of music’s most revered and prolific visionaries». «È con profondo dolore che annunciamo che il grande poeta, cantante e artista Leonard Cohen è scomparso. Abbiamo perso uno dei più venerati e prolifici visionari della musica». Se ne è andato d’improvviso e il mondo lo ha saputo dalla sua stessa pagina Facebook. Aveva 82 anni e solo un mese fa aveva presentato il suo ultimo disco, You want it darker, il quattordicesimo di una carriera lunga ormai cinque decenni. Nell’ultima intervista rilasciata al Corriere della Sera, alla domanda sulla morte aveva risposto: «Sono pronto». Ma poi aveva precisato, quasi per tranquillizzare tutti i suoi fans: «A volte ci si lascia andare a un eccesso di drammatico. Ho intenzione di vivere per sempre». Ma a farlo vivere per sempre ci penseranno le sue canzoni, tra le più amate e le più ri-cantate di sempre.
Era nato a Montreal nel 1934. Figlio di immigrati, polacco il padre e lituana la madre, segue subito la sua natura, che è quella del poeta prima ancora che del cantante. Per lui poesia era l’arte di saper dire tanto in poco, cioè con poche parole: «Vorrei dire tutto ciò che c'è da dire in una sola parola. Odio quanto possa succedere tra l'inizio e la fine di una frase». La sua prima raccolta poetica arrivò infatti prima del suo esordio come cantante. Si era ritirato in un’isoletta greca, rifugio dei poeti, l’isola di Hydra, proprio per rimarcare il suo destino. Ma la poesia in questo mondo ha poca eco, non risuona mai a livello di massa. Così Cohen capì che la musica avrebbe potuto dare le ali alla sua poesia: era il 1967, quando pubblicò il suo primo Lp, dal titolo che non diceva nulla, Songs of Leonard Cohen: aveva già 33 anni e il tema dominante era quello della morte. Non ebbe successo, in quegli anni dell’euforia hippy.
Ma evidentemente il tempo giocava tutto a suo favore. E con il terzo disco, anno 1974, entrava di forza nell’Olimpo della musica mondiale. Anche in questo caso il titolo era molto prosaico, Songs of love and hate: il suo meraviglioso talento di poeta viene affiancato per sempre da una voce che è stata definita come «un rasoio arrugginito», dolce, tagliente e struggente. Lui preferiva definirla in altro modo: «Sono nato così, non avevo scelta, sono nato con il dono di una voce d'oro...», come recitano i versi di una sua canzone, Tower of songs.
Sono tanti le canzoni che non si possono dimenticare. Ma uno lo è forse più di tutti gli altri: è la celebre Hallelujah, contenuta in un album che non ebbe molto successo perché Cohen aveva voluto dedicarlo alle proprie radici ebraico-cristiane: Various Position. Hallelujah inizia evocando il David biblico, mentre compone un brano per “il piacere del Signore”. «La canzone spiega che diversi tipi di alleluia esistono», disse Cohen, «e tutte le alleluia perfette e infrante hanno lo stesso valore. È un desiderio di affermazione della vita, non in un qualche significato religioso formale, ma con entusiasmo, con emozione. So che c'è un occhio che ci sta guardando tutti». È una canzone che ha conquistato tutti i grandi della canzone, da Bob Dylan a Bono. Tutti l’hanno cantata, quasi si trattasse di qualcosa di più di una canzone: un inno o una preghiera al Dio dei musicisti. In fondo è a questo Dio che Loenard Cohen ha sempre prestato la sua voce, di ruggine e d’oro.