Idee per valorizzarli

Che peccato, son tutti inaccessibili i grandi capolavori della Provincia

Che peccato, son tutti inaccessibili i grandi capolavori della Provincia
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Che la cultura possa essere leva di sviluppo (anche) per Bergamo sembra un’utopia. Basta buttare l’occhio oltre la cancellata che perimetra il palazzo della Provincia, da via Camozzi, e guardare cosa ne è stato del Parco della Scultura. Nato in epoca bettoniana, questo giardino raccoglie diverse opere, frutto di donazioni e acquisizioni mirate, che raccontano di scultori capaci ancora di arricchire l’arte del nostro tempo. Un nome per tutti, Manzù, lì presente con ben cinque sculture. Eppure, se viene voglia di entrare (da via Tasso) per gustarle da vicino, non si può. Superata la guardiania, ci si deve arrendere al lucchetto del cancello che ne dà l’entrata.

 

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Caravaggio del Manzù. 

 

Anche partendo dalla precarietà delle Province, che, come stabilisce la legge dell’Aprile 2014, verranno nel tempo dismesse, sarebbe intelligente pensare prima al futuro di questo patrimonio. Il Palazzo di via Tasso è stato infatti negli anni destinatario di cospicue donazioni: sono presenti i grandi Maestri nati entro i primi due decenni del Novecento come Longaretti, Fieschi, Carrara, Tilde Poli, Ferroni, Alda Ghisleni, Meli Milesi, Normanni, Cornali, Scarpanti, Guidotti e molti altri. Esposti per lungo tempo lungo il corridoio che porta alla presidenza nella Galleria del ‘900, e improvvisamente sostituiti, durante l’amministrazione Pirovano, da pareti spoglie e ritinteggiate con un verde ospedale.

Per non parlare della “generazione di mezzo”, i dipinti di artisti nati attorno alla metà del secolo come Riva, Bonfanti, Bianchetti Rampinelli, Previtali. Seguono gli affreschi di Jacopino Scipioni d’Averara, riportati a Bergamo dopo la dispersione avvenuta in seguito alla demolizione ottocentesca della chiesa cittadina di Santa Maria delle Grazie. Un contributo straordinario alla ricostruzione del patrimonio artistico del Cinquecento locale.

 

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Tebe ovale del Manzù.

 

A scorrere l’elenco delle opere della Provincia verrebbe spontaneo, in occasione dell’8 agosto, ricordare i bergamaschi che insieme a tanti giovani arrivarono carichi di speranze, dall’Europa a Marcinelle, rimanendo tragicamente vittime nelle viscere della terra, con l’esposizione al pubblico dell’opera struggente di Ferroni, Le donne di Marcinelle.

Ma, tornando al comparto scultoreo e alla mancata agibilità del Parco, collocare, ad esempio, il Caravaggio di Manzù presso l’aeroporto (Caravaggio) di Bergamo, potrebbe essere un ottimo biglietto da visita per gli undici milioni di passeggeri che transitano dal nostro scalo ogni anno. E la piazza della stazione ferroviaria potrebbe ospitare gli Dei imperturbabili di Riva, anche loro in “drammatica” attesa sui binari del tempo. Ci sono le piazze: perché come accade in tutta Europa, non metterci queste sculture. Basta immaginare Tebe distesa nell’ovale di Manzù presso piazza Mascheroni, o il Mosè di Alberto Meli al piazzale della Malpensata.

 

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Mosè del Manzù.

 

Se si approdasse ad una visione strategica organica, potremmo tentare di uscire da quella dimensione Bergamocentrica che toglie respiro a uno dei pochi macro-settori in cui abbiamo ancora delle chance importanti, e immaginare di distribuire questi capolavori a Romano di Lombardia, nel museo d’Arte Sacra, a Lovere presso l’Accademia Tadini, al Gianni Bellini di Sarnico, e così via. È un’ipotesi. La vera ricchezza, quella che può davvero diventare la colonna portante di un nuovo modello di crescita, è quel milione e centomila persone che risiedono nella nostra provincia. Una scelta che non richiede ingenti capitali, a cui si potrebbe aggiungere anche il patrimonio a riposo nei magazzini dell’Accademia Carrara e che invece potrebbe essere messo in circuito nelle pinacoteche, chiese o musei bergamaschi, esattamente come successo per il Louvre, dove, pur di non lasciare i capolavori nei sotterranei, sono state realizzate delle succursali, il Louvre 2, e il Louvre 3. Se pensiamo a Bergamo, alla vastità di opere al buio, si rischia di restare senza parole perché non c’è un solo oggetto che non meriti ammirazione e stupore.

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