Si è chiuso domenica

Le tre cose che ci ha insegnato questo Giubileo di Papa Francesco

Le tre cose che ci ha insegnato questo Giubileo di Papa Francesco
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Si è chiuso ieri senza nessun rullo di tamburi. Restano suggerimenti molto concreti: non prestare ascolto ai predicatori apocalittici, credere nella forza sociale del perdono e guardare agli altri, sempre come una ricchezza. Era prevedibile che, conoscendo ormai lo stile di papa Francesco, la conclusione dell’Anno Santo fosse la cosa meno mediatica che si potesse immaginare. Nessuna enfasi, nessuna celebrazione particolare. Anzi, dopo aver festeggiato la scorsa domenica il Giubileo con i carcerati in San Pietro, ieri alla messa conclusiva ha invitato le “persone socialmente escluse”, ha messo al centro concretamente i poveri.

 

 

Francesco ha anche le idee molto chiare. E quando convoca i poveri nel centro della Chiesa non lo fa con atteggiamento pauperistico. Sentite infatti cosa ha detto nella predica della messa di ieri rivolgendosi a colo che lui aveva invitato: «Oggi, cari fratelli e sorelle, è il vostro Giubileo, e con la vostra presenza ci aiutate a sintonizzarci sulla lunghezza d’onda di Dio, a guardare quello che guarda Lui: Egli non si ferma all’apparenza (cfr 1 Sam 16,7), ma rivolge lo sguardo “sull’umile e su chi ha lo spirito contrito”». Come dire: non è che i poveri hanno bisogno di noi, siamo noi che abbiamo bisogno di loro. Voltare la faccia a loro, è voltare la faccia a Dio. Questo ovviamente non esime da un impegno concreto di carità e di giustizia nei loro confronti.

Per questo il finale del Giubileo è stato volutamente pensato sottotono: perché nella prospettiva di Francesco è chiaro che le porte sante che ieri sono state chiuse, non si chiudono affatto, restano aperte per rendere più umana la vita di ogni giorno.

 

 

C’è chi ha cercato di misurare il Giubileo in numeri, scoprendo che in circa 20 milioni hanno varcato la Porta Santa in San Pietro, ma che per gli albergatori romani non è stata una festa. È stato un Giubileo semplice, per di più diffuso, perché Francesco aveva dato indicazione di aprire Porte Sante un po’ ovunque, anche nelle carceri, anche nei campi profughi giordani e libanesi. Per questo la sintesi migliore non è quella dei numeri ma quella dello sguardo che Francesco in questo anno ha gettato sul mondo in cui viviamo. Uno sguardo pieno di indicazioni e di suggerimenti anche di grande concretezza e utilità per la vita delle persone.

Francesco ha immaginato il Giubileo proprio osservando la condizione del mondo e cogliendo il problema primo che ferisce e riempie di ansia l’anima di tanti: cioè l’idea che se si cade non ci sia nessuno che ti rialzi. La fragilità del momento che viviamo è proprio questa: l’idea di vivere in un mondo che “non perdona”. Francesco ha voluto invece insistere sul fatto che il perdono agisce anche in tempi dominati dal cinismo e dal calcolo; e che il perdono è una delle leve che rende possibile la vita stessa.

 

 

Il Giubileo quindi, pur nella consapevolezza della durezza di questo momento della storia, ha voluto essere un momento totalmente controtendenza rispetto al pessimismo dilagante. Tant’è vero che Francesco ha ammonito di stare alla larga dai profeti di sventura e dai predicatori apocalittici, di ogni tipo. Bisogna «distinguere l’invito sapiente che Dio ci rivolge ogni giorno dal clamore di chi si serve del nome di Dio per spaventare, alimentare divisioni e paure», ha ripetuto. «Non si deve avere paura degli sconvolgimenti di ogni epoca».

Infine Francesco ha fatto chiarezza anche sul tema dei valori. Non ha costruito il consueto florilegio di valori morali che renderebbero il mondo migliore, ma ha ristretto il campo a due: il Signore e gli altri. Questi sono non tanto i valori ma, ha specificato Francesco, «le cose che hanno valore». Se sul Signore si poteva pensare che fosse scontato, sugli “altri” invece un po’ meno. Invece la relazione è la ricchezza, nella relazione c’è lo spazio per il perdono e per essere aiutati a rialzarsi: «Apriamo gli occhi al prossimo, soprattutto al fratello dimenticato ed escluso, al “Lazzaro” che giace davanti alla nostra porta. Lì punta la lente d’ingrandimento della Chiesa. Che il Signore ci liberi dal rivolgerla verso di noi».

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