Alle radici di mister Gasperini

Grugliasco era immersa nel verde, Torino sembrava lontana, Gian Piero Gasperini percorreva la strada tra i campi dove antiche cascine s’alternavano alle fabbriche tirate su negli anni del boom. Oggi Grugliasco è incollata alla città, i torinesi assalgono il suo grande centro commerciale, delle cascine restano poche tracce e anche tante fabbriche sono state dismesse: è cambiato tutto. Non Gasperini, che resta affezionato alle radici, che torna appena il calcio gli dà tregua, che continua a frequentare i vecchi amici. Ha conservato la casa di via Don Caustico dov’è cresciuto, accanto ai prati dove ha tirato i primi calci, al confine tra il suo Comune e quelli di Rivoli - il paese di Lapadula - e di Collegno, a due passi dal villaggio dove ha frequentato le elementari: villaggio Leumann, un esempio di moderna politica sociale, fondato da un imprenditore tessile svizzero, Napoleone Leumann, come centro residenziale dei suoi operai. Papà Giuseppe, che lavorava in una fabbrica dell’indotto Fiat dove si producevano freni e frizioni, e mamma Antonietta, commerciante, non ci sono più, ma a Grugliasco vivono ancora la sorella Susanna e alcuni zii, mentre i figli Davide e Andrea abitano a Torino.
Un giovane Gasperini (in basso, secondo da sinistra) nella formazione "Primavera" della Juventus, 1976-1977.
Alla Juve scuola di vita, tra emozioni e ricordi. Gasperini tornerà sabato per sfidare la Juventus con la sua Atalanta: una banda di giovanotti pieni di qualità e d’entusiasmo, a cui ha impresso un’identità e regalato un sogno. Ha avuto il coraggio di lanciarli, la pazienza per aspettarli e imporli, la forza di strigliarli anche adesso che l’Italia li adora. Ne ha vestiti sette d’azzurro, ed è una soddisfazione grande quanto il quarto posto in classifica, accanto alla Lazio: nelle ultime dieci giornate, ha fatto più punti di tutti, perfino dei bianconeri di Massimiliano Allegri, allievo di Giovanni Galeone come lui. Non sarà soltanto un esame di maturità, sarà un film da rivedere per l’ennesima volta in compagnia di emozioni che sfidano il tempo, perché la Juve non è solo un pezzo d’esistenza, ma è una culla, una scuola di vita.
Il prato del Comi e il mito Anastasi. Papà lo portava allo stadio e lui voleva diventare Piero Anastasi: lo confidava già a dieci anni, quando vestì la prima maglia bianconera, così grande da arrivargli alle ginocchia e gonfiarsi quando correva sul prato del Combi. Ne aveva nove, a dire il vero, quando Mario Pedrale, talent scout e tecnico delle giovanili, lo notò accarezzare il pallone durante un provino aperto a decine di bambini, solo che per regolamento non era possibile tesserarlo subito. Nella Juventus è rimasto fino a 19 anni, forgiato tra gli altri da Viola e Castano, ha vissuto un anno a Villar Perosa in convitto, ha vinto uno scudetto Allievi nel ‘75 contro l’Atalanta, ne ha perso uno Primavera con la Lazio di Bruno Giordano e Lionello Manfedonia, ha giocato nella Primavera con Domenico Marocchino e Vinicio Verza, bazzicava Paolo Rossi e Sergio Brio che erano appena più grandi di lui. Gasp, però, ha solo annusato la prima squadra, 9 presenze in Coppa Italia tra il ‘76 e il ‘78, la gioia di un gol al Taranto battuto per 3-1 nonostante la formazione rimaneggiata: un nugolo di ragazzini attorno a Spinosi, Fanna e Virdis.
Gasperini in azione al Pescara, nel 1988, tra gli interisti Serena e Altobelli.
Le scarpe di Causio e quel calcio unico. Gasperini, raccontano, aveva lo stesso numero di scarpe di Causio, per questo portava le sue scarpe, in modo da dargli la giusta forma: forse è solo leggenda, certo è il fotogramma di un calcio che non c’è più, di un cammino fatto di disciplina e di sacrifici oggi sconosciuti. Gasp era forte, ma quella Juventus di più, finì così in prestito alla Reggiana di Guido Mammi e, partendo da lì, costruì un’onesta carriera lontano da Torino. Cicli importanti a Palermo e Pescara, apparizioni a Cava de’ Tirreni, Pistoia e Salerno, il tramonto a Pesaro. Tutta esperienza, tanto studio, ricerca e cura dei particolari, analisi dei metodi: il bagaglio di Gasperini è umano e tecnico allo stesso tempo.
I venti titolari e un gruppo Juve da sogno. Finito di girovagare, Gasperini tornò a Grugliasco e ricominciò a percorrere la strada fino a Torino. Amava il calcio, gli piaceva insegnarlo e così scegliere la nuova carriera fu naturale: un anno alla Sisport con gli Esordienti, poi il settore giovanile di mamma Juve: due anni nei Giovanissimi, due anni negli Allievi, cinque nella Primavera. Era anche osservatore e approfittava dell’opportunità di battere i campi per carpire segreti, aggiornarsi, studiare: disegnò le sue squadre con il 4-3-3 finché, folgorato dall’Ajax, non accorciò la difesa e allungò il centrocampo. Il 3 marzo 2003 la gioia più bella, la vittoria del Torneo di Viareggio che la Juventus inseguiva da 9 anni: Gasp, per dire la capacità di fare gruppo, convocò in quell’edizione 21 ragazzi, e tutti trovarono spazio tranne il secondo portiere. In finale, superò lo Slavia Praga, gol di Davide Chiumiento, fantasista svizzero che sembrava un predestinato e non riuscì invece a mantenere le promesse: debuttò in campionato e in Champions con la Juve, si smarrì tra Siena, Le Mans e Young Boys, trovò continuità a Lucerna, finì a Vancouver, oggi gioca nello Zurigo.
Allievi battuti, ma è stata una fucina di talenti. In quella Primavera non c’erano forse stelle, ma è stata una fucina di ottimi calciatori: Mattia Cassani del Bari (276 presenze in A e 11 in Nazionale), i bolognesi Daniele Gastaldello, Domenico Maietta e Antonio Mirante che ha battuto domenica, Abdoulay Konko che è all’Atalanta con il tecnico, Ruben Olivera che arriverà nella Nazionale uruguaiana e ancora oggi è protagonista a Latina, Matteo Paro che ha giocato in A con Siena, Genoa e Bari. Allevati dal tecnico di Grugliasco anche Antonio Nocerino, Giuseppe Sculli e Andrea Gasbarroni, a lungo protagonisti del grande calcio, senza dimenticare che bazzicavano la sua Primavera anche i più grandicelli Matteo Brighi e Simone Perrotta. E, ogni tanto, solo ogni tanto, il più piccolo Claudio Marchisio. Lasciò nel 2004, per misurarsi con una prima squadra a Crotone, ma non ha mai smesso di forgiare talenti. Quell’anno, i campioncini dell’Atalanta andavano ancora alla materna...