Venerdì 9 e sabato 10

Tutto l'aspetto erotico dei cactus nella danza dei Momix al Creberg

Tutto l'aspetto erotico dei cactus nella danza dei Momix al Creberg
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È notte e il deserto si anima. Il vento spinge i rotolacampo, i cespugli vagabondi del deserto. Il gioco della luce e la fantasia li trasformano fino a creare diverse immagini. Un’allucinazione? Nella luce rossa del tramonto si stagliano le sagome dei cactus giganti, evocate dai ballerini che li trasformano in figure oniriche, metamorfiche. Il deserto si anima di striscianti animali fantastici. Serpenti corallo che plasmano le sinuosità di giovani danzatrici. Una scolopendra composta da quattro danzatori uniti per le gambe, strisciante di qua e di là in una coreografia di braccia (che sono zampe) perfettamente coordinata. Lucertole umane che guizzano da una quinta all’altra su piccoli skateboard, nascosti dai costumi e dalle luci: sembra volino. Ballerini che si trasformano in uccelli-totem minacciosi.

 

Moses Pendleton, la mente dei Momix - compagnia di danza che fa di illusionismo ed evocazione, con pochi mezzi essenziali, la propria cifra distintiva - è del New England, dove il verde abbonda. Vermont settentrionale, per la precisione. Il fascino del deserto però lo aveva conquistato già oltre vent’anni fa. Nel 2001 ci ha creato un pezzo di venti minuti per l’Arizona Ballet. Poi quel pezzo è stato rielaborato per approdare a un lavoro più completo e impegnativo, che occupasse l’intera serata. Ora, dopo non essere stato rappresentato per un periodo lungo più di un decennio, Opus Cactus arriva a Bergamo: stasera e domani è al Creberg Teatro (ore 21) con un cast di ballo composto da 8 veterani e 2 ragazze nuove. «C’è grande poesia sia nella coreografia che nella scelta della musica, in questo spettacolo più che in altri – ci racconta Julio Alvarez, argentino, storico manager e produttore della compagnia fin dalla sua nascita nel 1980 -. Del resto a me, dei Momix, è sempre l’aspetto lirico che mi affascina, più delle parti divertenti e giocose. Per trovare l’ispirazione, Pendleton passò qualche giorno nel deserto di Sonora, al confine con California e Messico. La prima idea, però risale al 1992: eravamo insieme a Buenos Aires, Argentina. L’ho portato in un locale tipico in cui si ballava il tango, il Tortoni, fondato da un italiano nel 1880. Mi chiese: “Che ne dici se facessimo uno spettacolo sulla vita sessuale delle piante?”. “Favoloso, ci divertiamo!”, risposi. Lo affascinava l’aspetto erotico dei cactus. Il primo pezzo fu dunque pensato, anche musicalmente, per sud degli Stati Uniti e Messico. Poi spaziò sull’Arabia e sull’Africa: altri deserti, altre sonorità, anche contemporanee, non di origini etniche ma che ricordano gli spazi sconfinati».

 

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Lo spettacolo ebbe la sua prima mondiale nel 2001 al Joyce di New York. In platea c’era anche un bergamasco celebre: lo stilista Francesco Trussardi. «Avevamo un progetto per il festival nautico di Genova – racconta Alvarez - ma poi morì in un incidente e non se ne fece più nulla». I collegamenti del manager con Bergamo sono anche altri: c’è stato per la prima volta nel 1974, al Donizetti, da ballerino: era nella Giselle con Carla Fracci. «Ci sono tornato spesso, in seguito, perché a Bergamo c’era anche un bravissimo ortopedico dove si facevano curare la schiena tutti i ballerini. Si mangia anche molto bene».

Quella che passa a Bergamo è solo una delle tre tournée in giro per il mondo, in contemporanea, dei Momix. Perché quella particolarità della compagnia per cui la tecnica accademica della danza viene assimilata nella visione onirica d’insieme ha successo ovunque. I danzatori sono atleti dei sensi, scolpiti con costumi unici, fusi con oggetti di scena che diventano un prolungamento del corpo, trasformati da effetti di luce creati ad arte e immersi in partiture musicali selezionate personalmente da Pendleton (che ascolta musica in cuffia dalla mattina alla sera): da Vivaldi alla New Age, dal pop al canto degli uccelli. «È una compagnia dal grande appeal commerciale – spiega Alvarez – e infatti ritorna periodicamente negli stessi teatri. Il pubblico ama i Momix. C’è una chimica straordinaria con il pubblico. Gli spettacoli sono popolari, diretti, mettono buonumore. Generano affetto. I paesi dove sono più richiesti? Italia e Spagna».

La chimica straordinaria c’è anche tra Alvarez e Pendleton, che lavorano assieme ormai da quarant’anni. «Ma se io gli dico che una coreografia secondo me non funziona, e che andrebbe tolta, lui mi risponde “è la miglior cosa che abbia mai fatto” – ride Alvarez -. Poi prima o poi la toglie, ma senza dire niente. Non sopporta quel tipo di critica. Questo mi ricorda un’altra storia. Adriana Panni, storica presidente dell’Accademia Filarmonica Romana, personaggio incredibile, divenne amica di Stravinsky e lo invitò. Erano gli anni ‘50. Stravinsky portò alla Filarmonica la prima di Agon, che poi divenne un balletto importantissimo. Alla prova generale la Panni, seduta in sala, andò da Stravinsky con il suo classico tono da popolana e gli disse: “Igor, taglia, è troppo lungo”. Fantastica. Stravinsky, chiaro, non ha tagliato niente. E Moses fa lo stesso».

Compagnia nata per caso a Milano nel 1980. Tutto nacque a Milano, attorno alla Scala. Ebbene sì, i natali dei Momix sono italiani, e c’entra lo storico manager Julio Alvarez. «Sì, in un certo senso si potrebbe dire che sono stato io la “ragione” per la quale è sorta la compagnia. Mi spiego: Moses Pendleton era uno dei sei ballerini dei Pilobolus. Una splendida compagnia, molto elegante, con un’insolita combinazione di acrobatismo e fantasia. Uno di quei sei era Moses. Io lavoravo per loro, e avevo avuto un ingaggio al Teatro Nazionale di Milano, nel 1980, con la Scala come patrocinatore. Era tutto organizzato, ma i ballerini avevano capito che si doveva andare a Roma. Quando hanno capito che invece era Milano si sono rifiutati, dicendo che quella città non era bella, non valeva la pena. Erano molto capricciosi: si sentivano tutti direttori. Moses, per salvarmi l'ingaggio, ha deciso che si sarebbero esibiti lui e Alison Cheese, ballerina del gruppo e sua compagna. Gli chiesi: “Ma cosa fate?”. “Tutti gli assoli e i duetti”. La Scala accettò. Moses chiamò quello spettacolo, e la nuova compagnia composta da loro due, Momix, che voleva dire “mix di Moses”». Lo spettacolo fu un tripudio nonostante gli intervalli per cambiarsi fossero più lunghi delle parti danzate. Una compagnia che fa del surreale la sua cifra non poteva che nascere così.

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