Ti aspetto al ristorante a casa mia Cioè, il social eating in terra orobica
Indovina chi viene a cena? Dei... perfetti sconosciuti. Non amici che nascondono una doppia vita nei loro smartphone, come racconta l'omonimo film di Paolo Genovese, ma persone davvero mai incontrate prima. O, meglio, incontrate solo sul web grazie al social eating, tendenza da pochissimo arrivata anche a Bergamo. In pratica si organizzano eventi culinari a casa propria oppure si partecipa a quelli proposti da altri. Il cibo diventa il centro delle relazioni, la casa il nuovo luogo dove fare amicizia. I partecipanti sono trattati come ospiti personali, però paganti. Per i turisti è un modo per scoprire l’anima della città, per i bergamaschi un'occasione per allargare il giro.
I numeri nella Bergamasca. Se a fare da apripista nella nostra provincia sono stati tre ragazzi di Chiuduno, che nell’estate del 2015 hanno aperto il loro WelcHome Restaurant, con il passare del tempo in molti si sono lasciati prendere dalla curiosità e dallo spirito d'iniziativa. E così la piattaforma di social eating Gnammo, che in Italia conta 210mila iscritti, nel 2016 ha rilevato un deciso incremento delle adesioni in Bergamasca: oggi ci sono circa 850 gnammers (chi va a mangiare) e 65 cuochi (chi ospita a casa) registrati sul sito. L’età media va dai 30 ai 45 anni, con una leggera prevalenza femminile.
Ce n'è per tutti i gusti. Come funziona? Il contatto si stabilisce sul web, si seleziona l’evento, si prenota e si paga. In altri casi si contatta lo chef e si chiede di organizzare in una data precisa una cena “special” o, ancora, se lo chef non ha una location dove accogliere gli ospiti c’è la possibilità di farlo venire a casa propria a cucinare. A ben guardare ce n’è per tutti i palati. Se Daniela propone un menù bio all’insegna dell’autunno, con zucca, mele e castagne, Letizia si dà al pesce. Heidi punta sui sapori della cucina orientale, Alessandro e Francesca su piatti tipici toscani.
Le cifre economiche. Secondo un’analisi della Federazione Italiana Esercenti Pubblici e Turistici, nel 2014 il settore in Italia ha messo a segno un fatturato di 7,2 milioni di euro. Sempre nel 2014 i cuochi social attivi sono stati settemila per un totale di 37mila eventi organizzati e una partecipazione di 300mila persone. L’incasso medio stimato, per singola serata, è stato di 194 euro.
La nuova normativa. Un fenomeno che sta provocando anche polemiche da parte dei ristoratori tradizionali, preoccupati per la possibile concorrenza. E così le proposte di legge per normarlo sono arrivate alla Commissione Attività Produttive, che ha deliberato in favore di un testo unico per la “Disciplina dell’attività di ristorazione in abitazione privata”. La Camera avrebbe dovuto esaminarlo lo scorso 8 novembre, ma la votazione è stata rimandata a dopo il referendum del 4 dicembre. «Pur essendoci ancora alcuni punti da migliorare, spero che il testo di legge sia approvato al più presto. È importante poter finalmente dire che “il social eating si può fare” - riflette Cristiano Rigon, fondatore e amministratore delegato di Gnammo -. Sono convinto che, se questo buco normativo venisse colmato, molte persone si sentirebbero più libere di sperimentare questa nuova tendenza con più entusiasmo e meno diffidenza».
Le limitazioni e le direttive fiscali. Tra le principali novità della proposta di legge stilata durante il governo Renzi, ci sono i limiti di natura fiscale per i cuochi: massimo 500 pasti all’anno (poco più di un coperto al giorno) e 5mila euro annui di incasso ad abitazione, per evitare che in una stessa famiglia le cifre si sommino perché è più di uno a cucinare. «Attenzione, però. Se il limite annuo rimane riferito ai ricavi, così com’è stato definito, siamo lontani dalla realtà - sottolinea Cristiano Rigon -. Quello che realmente va nelle tasche dei cuochi non è che il 30 percento dei compensi di ogni serata, quindi si rischia che le persone siano indotte a trovare strade secondarie e sommerse per fare la medesima attività. Credo invece opportuno che il limite dei 5mila euro annui sia calcolato sugli utili, ovvero la differenza tra i soldi incassati e i costi inerenti sostenuti per l’organizzazione delle cene. Questa è la cifra che realmente il cuoco guadagna e su cui, tra l'altro, è tenuto a pagare il fisco, rientrando l'attività tra il lavoro autonomo occasionale». Inoltre, tutte le transazioni vanno fatte online per rendere il fenomeno interamente trattabile e arginare i "furbetti del contante”.
Il food delivery. Non solo social eating, però. Tra le novità del cibo 2.0, c’è anche il food delivery, ovvero la possibilità di ordinare pasti a domicilio attraverso un’unica piattaforma web, che riunisce più locali. A Bergamo è attivo JustEat: in città ci sono una ventina di ristoranti iscritti, ma qualche ordine si può fare anche in provincia, da Dalmine a Seriate, da Verdello ad Azzano San Paolo. La tradizionale pizza va forte sulle tavole dei bergamaschi con il 42 percento delle richieste, ma numerosi sono anche i fan dell’american food: l’hamburger raccoglie il 38 percento delle preferenze. I giorni preferiti per farsi consegnare i piatti a casa? La domenica e il giovedì. L’utenza bergamasca si rivela altamente tecnologica con oltre il 60 percento delle richieste effettuate tramite app.
E per i pendolari... Infine, una curiosità: c’è una nuovissima startup che potrebbe interessare i pendolari bergamaschi a Milano. Sempre a proposito di food delivery è nata la società iCestini, che consegna pasti pronti ai lavoratori. Per ora è attiva nelle stazioni ferroviarie di Cadorna e Porta Garibaldi, ma anche in diverse altre zone della metropoli (piazza Gae Aulenti, Porta Venezia, Loreto). L’obiettivo? Espandersi in tutte le stazioni della città.