Pensieri segreti di una commessa Il momento del cambio regali
Dopo ogni grande fatica, c’è un momento di meritato riposo. Sarebbe bello. Dopo il titanico sforzo di trovare un regalo adeguato per tutti, ognuno si gode la pace. E invece, dopo il Natale c’è subito il momento del cambio merce. Del vecchio e sensatissimo proverbio «A caval donato non si guarda in bocca» non resta più niente. Al cavallo facciamo un’autopsia completa. Ogni cosa comprata può essere cambiata o peggio ancora restituita in cambio di buoni spesa e a volte persino in cambio dei contanti. Sospetto che qualcuno vada a restituire tutte le cianfrusaglie ricevute e poi a gennaio parta per le Canarie. Non solo. Sempre più negozi hanno tolto il limite di tempo in cui è possibile sostituire la merce acquistata. Praticamente potreste andarvi a cambiare il vostro vestito della prima comunione, basta trovare il negozio ancora aperto.
Lo scambio che non c'entra niente. Così, già dal 26 dicembre, senza ritegno, arrivano i primi scambiatori folli. È una faccenda che va per gradi di indecenza. Finché si tratta di taglie, trovo giusto poter sostituire la merce; passi anche la scelta del colore, perché alcune tonalità (il fucsia o il pervinca sono opera di stilisti non vedenti, sappiatelo) non si possono proprio vedere indosso a un adulto. Il mio astio viene pungolato quando invece si iniziano a scambiare articoli che tra loro non hanno niente a che vedere. «Vorrei cambiare questa gonnellina di Hello Kitty con le scarpe chiodate dell’esercito numero 46». Ma la persona che ti ha fatto questo regalo ti conosceva? Sapeva almeno il tuo nome? È andata alla Caritas e ha afferrato un regalo a casaccio?
Il cliente ispettore federale tedesco. Poi arrivano i puntigliosi, quelli difficili da accontentare, quelli che se avessero seguito la vocazione professionale sarebbero diventati degli ispettori federali tedeschi e invece sono finiti a lavorare alle poste italiane e quindi si sfogano così, con le commesse. Loro si presentano in negozio con l’aria tronfia di un esperto del settore, ma che dico, un produttore, un sommelier del dettaglio per denunciare l’oltraggio di un difetto enorme che rende inaccettabile l’oggetto in questione. «Signorina, guardi proprio non volevo venire a cambiarlo (ah, sei qui per intrattenermi quindi?), ma non posso proprio portarlo con questo». E con un’espressione da carlino nichilista indicano l’aberrazione, l’abominio, l’imperdonabile: una cucitura divergente di un millimetro nella tasca interna/un colore che sfuma troppo/una stringa inserita in senso antiorario/un bottone cucito col filo “blu di prussia” invece che “blu oltremare”/la suola di una scarpa con le righe della dentellatura diverse a sinistra. Insomma, sono cose che balzano all’occhio, e che soprattutto interessano tantissimo alle commesse. La mia risposta standard era questa (con espressione a metà tra Marilyn che si tiene la gonna e un frate penitente): «Mio Dio, glielo cambio subito! Meno male che se ne è accorta, manderemo subito un reclamo al fornitore». Care clienti, appena uscite l’oggetto verrà rimesso in vendita in direttissima, dovete saperlo.
La sostituzione inter-era-geologica. Ma l’apice di questo crescendo di scambi merce è la sostituzione inter-era-geologica. Come vi dicevo, sempre più catene stanno consentendo di rendere gli articoli senza scontrino e senza limite di tempo. Perciò, è più che naturale per una commessa vedersi arrivare clienti con reperti archeologici che vogliono ridare indietro in cambio di oggetti nuovi. Avvistiamo il nostro uomo da lontano, con borse improbabili contenti i pantaloni ereditati dal nonno, guanti della guerra in Russia, calzini della Nike che usava Jordan o gli scarponi dell’orto con ancora l’orto dentro. Appoggiano la merce sulla cassa e con l’aria un po’ colpevole dicono: «Vorrei cambiare questo». La commessa lo sa già, è (purtroppo) tenuta a prendere indietro anche vostra madre, se voleste restituirla, ma è anche costretta a chiedere: «Che problema c’è?». Colpo di scena. Non lo sanno mai, che problema c’è. Almeno preparatevi una scusa. Quindi vengono fuori idee originalissime come: «Mi si è sporcata la suola». Ma dai. Che difetto incredibile, non esistono più le scarpe di una volta. La commessa è persino costretta a fornirvi una scusa, caro consumatore intelligente e consapevole. «Sì, qui si è un po’ scucita, sarà per questo». Oppure perché ci hai arato tutta la pianura padana, con questi scarponi. Ma non importa. Ultima domanda, la mia preferita. «Ha lo scontrino?». Smarrimento del cliente, mi guarda come se gli stessi chiedendo di elencarmi tutte le cifre del pi greco. Dirà qualcosa di formidabile, lo sento. «Perché serve lo scontrino?». Ora che mi ci fa pensare, no. Il fisco l’hanno inventato dopo che lei ha acquistato queste scarpe, errore mio.