Di Giuseppe Alamia

E se il codice etico di Grillo fosse il primo passo oltre Tangentopoli?

E se il codice etico di Grillo fosse il primo passo oltre Tangentopoli?
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Non c'è dubbio che la tempistica con cui i vertici del Movimento 5 Stelle hanno deciso di adottare il Codice di comportamento del Movimento 5 Stelle in caso di coinvolgimento in vicende giudiziarie desti qualche perplessità, offrendo l’opportunità agli avversari politici di ironizzare sul provvedimento SalvaRaggi e su altre situazioni della recente storia del movimento che hanno messo in grave imbarazzo Grillo e i suoi adepti. Nulla di nuovo, a prima vista: sin dall'inizio e con quella veemenza che ne caratterizza molte iniziative, i 5 Stelle hanno utilizzato lo strumento giudiziario come occasione di moralizzazione della politica, ma adesso, quando oramai diverse Procure hanno messo nel mirino singoli esponenti grillini, ecco comparire quei distinguo e quelle differenziazioni che abbiamo già visto essere invocate negli ultimi 25 anni della vita politica italiana quando un qualche componente del proprio partito politico veniva coinvolto in inchieste giudiziarie.

Eppure questa volta l’opzione scelta da Grillo potrebbe inaspettatamente rappresentare un tentativo di superare una delle più gravi storture che Tangentopoli ci ha consegnato e che ha inciso in modo profondo nel rapporto tra politica e giustizia. È innegabile che fino ad oggi nessuno è stato in grado di trovare una soluzione a quel meccanismo (mediatico) automatico e che appare sempre più come una liturgia già saputa e ineluttabile: circola sulla stampa la notizia dell'iscrizione del registro degli indagati o della notifica del celeberrimo avviso di garanzia, gli avversari politici del malcapitato di turno chiedono le dimissioni, l'interessato prima tentenna, poi, dopo qualche accenno di resistenza, viene abbandonato dal suo partito e così si dimette. Spesso dal punto di vista del procedimento penale si è solo all'inizio, ma la carriera politica è azzoppata (se va bene) o peggio (per i più sfortunati) è finita.

Per questo la regola appena introdotta dai 5 Stelle per cui la ricezione di un'«informazione di garanzia» o di un «avviso di conclusione delle indagini» non comporta alcuna automatica valutazione di gravità dei comportamenti con la conseguente necessità di dimissioni, rappresenta un momento di rottura rispetto a quello che da Tangentopoli in poi ha costituito una regola fissa: se sei indagato, ti devi dimettere. Per la prima volta dal 1993, infatti, una forza politica dichiara - e mette per iscritto - che non vale più quell'automatismo per cui chi riveste una carica pubblica debba dimettersi immediatamente non appena riceva un avviso di garanzia o sia coinvolto in una indagine penale. Non è cosa da poco.

Al di là della (evidente) opportunità contingente per il Movimento grillino, è un dato di fatto che la nuova regola adottata sfidi uno dei punti più critici del rapporto tra politica e giustizia, riaffermando una autonomia di decisione e valutazione del soggetto politico rispetto a una iniziativa giudiziaria unilaterale (l'avviso di garanzia è atto del PM, una parte processuale), iniziale (l'avviso è di solito emesso nella fase iniziale delle indagini) e poco specifica (solitamente nell'avviso di garanzia sono indicati gli estremi del reato ed i riferimenti del procedimento penale, senza una minimale descrizione della condotta contestata).

Se si riuscisse ad uscire dalla questione (seppur legittima) di cui si dibatte in questi giorni e cioè perché proprio adesso i 5 Stelle hanno deciso di riaffermare questo principio, sarebbe una buona occasione per il sistema partitico italiano di riprendere e appoggiare questa scelta, provando così a iniziare quella operazione di riequilibrio dei rapporti tra giustizia e politica che ancora oggi costituisce un problema per Paese. Invero, aveva avuto una occasione simile qualche settimana fa anche il Sindaco di Milano che si è poi purtroppo incastrato tra autosospensione e dis-autosospensione, perdendo una grossa opportunità.

Tornando a Grillo e al suo Codice Etico, sicuramente, il sistema di valutazione da parte degli organismi interni del Movimento sulla gravità della contestazione è un sistema perfezionabile e, allo stesso, anche il momento storico in cui è stato emanato questo regolamento denota chiaramente una sorta di autodifesa preventiva ma, forse, l'affermazione di questa regola potrebbe aprire uno spiraglio per risolvere una delle conseguenze più negative che Tangentopoli ci ha lasciato, restituendo alla politica un ruolo ed una autonomia spesso frustrati in questi anni. Occorrerebbe solo un po' di coraggio e di libertà nel seguire un'idea nata da un avversario e un pizzico di orgoglio da parte della politica. Stiamo a vedere.

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