L'atto sull'immigrazione di Trump è anche un po' colpa di Obama
Dieci giorni son bastati a Donald Trump, nuovo presidente degli Stati Uniti d'America, per scatenare un gran marasma. Chi infatti si aspettava che il miliardario di New York, una volta accomodatosi nello studio ovale, facesse dei passi indietro rispetto ai roboanti annunci della campagna elettorale, s'è scontrato con la realtà. Dopo l'annuncio di voler portare avanti il progetto del muro al confine con il Messico facendolo pagare, volente o nolente, ai vicini di casa, ecco la firma di un atto che ha scatenato una vera e propria reazione di massa. L’ordine esecutivo, firmato venerdì sera, blocca l’accoglienza dei richiedenti asilo di qualsiasi nazionalità per 120 giorni, e impedisce temporaneamente l’accesso al territorio americano dei cittadini di Iraq, Siria, Iran, Sudan, Libia, Somalia e Yemen, anche se in possesso di regolare permesso di soggiorno. Il provvedimento è stato rinominato "Muslim Ban", la «messa al bando» dei musulmani, e ha causato diversi disagi negli aeroporti, oltre che numerose manifestazioni in molte città americane. Sedici procuratori generali degli Stati Usa hanno sospeso in parte il provvedimento, schierandosi quindi contro di esso e dando un chiaro messaggio alla Casa Bianca.
Cosa non va nel provvedimento. Sebbene Trump abbia spiegato di aver preso questa decisione (annunciata già nei mesi scorsi) per «proteggere gli Usa dai terroristi», l'impressione è che il provvedimento sia stato non solo affrettato, ma anche mal studiato. Innanzitutto la scelta dei Paesi: da nessuno di quei sette Stati sono mai arrivati terroristi che hanno poi colpito gli Stati Uniti d'America. Molto più logico sarebbe stato, invece, chiudere gli ingressi da Paesi quali Tunisia, Emirati Arabi o Arabia Saudita. Paesi in cui, però, sia il governo americano che Trump stesso hanno investimenti. Non a caso qualcuno ha infatti parlato di evidente conflitto d'interessi. Allo stesso tempo, a lasciare perplessi sono state le modalità con cui l'ordine esecutivo è stato attuato, ovvero senza alcuna preparazione. Il provvedimento interessa migliaia di persone che, al momento della firma di Trump, erano appena atterrate o comunque in arrivo negli Stati Uniti. Persone che, per potersi mettere in viaggio, avevano ricevuto il via libera dallo stesso governo americano attraverso il rilascio del visto. Insomma, prima l'ok, poi lo stop. Moltissimi di questi soggetti, inoltre, sono persone che vivono negli Stati Uniti da anni, che ci lavorano, o che hanno rapporti longevi di collaborazione con il Paese. Senza contare che a subire gli effetti del provvedimento sono anche i cittadini di quei Paesi in possesso di una doppia cittadinanza. I media americani, per tutto il weekend, hanno documentando diversi casi di richiedenti asilo e cittadini a cui è stato impedito di imbarcarsi per gli States oppure che sono stati arrestati al loro arrivo (il New York Times ha parlato di oltre cento persone).
Le immediate reazioni di molti americani, scesi in piazza spontaneamente per protestare contro il provvedimento, ma anche la sospensione del provvedimento da parte di ben sedici procuratori generali, hanno costretto Trump a un mezzo passo indietro: prima il suo portavoce, poi il Ministro della Sicurezza Nazionale John Kelly, hanno annunciato che i possessori di “green card” (autorizzazione rilasciata dalle autorità che consente ad uno straniero di risiedere begli Usa per un periodo di tempo illimitato) e autorizzazioni permanenti alla residenza negli Stati Uniti sono esentati dal divieto di ingresso e che dovranno soltanto sottoporsi a semplici controlli.
Le colpe di Obama. C'è chi, però, in questo caotico quadro ha cercato di mettere un po' di ordine. E di analizzare i fatti senza farsi trasportare dal sentimento anti-Trump che soffia sempre più forte in tutto il mondo. In un tweet, Trump ha precisato che i sette Stati "bannati" non sono stati scelti da lui, ma da un precedente atto firmato da Obama. Cosa vera: il precedente presidente degli Usa, come ha spiegato anche Il Post, tra il 2015 e il 2016 escluse da un programma di facilitazione di concessione dei visti (quello che sfruttano anche i cittadini italiani, ad esempio) i viaggiatori che fossero stati anche in Iraq, Iran, Sudan, Siria, Libia, Somalia o Yemen. Allora non si trattava di un vero e proprio stop agli ingressi in America, ma certo una sorta di "anticamera", che Trump ha poi deciso di sfruttare. Resta il fatto che né l'attuale presidente, né Obama abbiano spiegato il motivo per cui dalla lista siano stati esclusi Stati ben più pericolosi dal punto di vista terroristico. Guardando sempre all'amministrazione Obama, Trump ha anche giustificato la scelta di sospendere per tre mesi le domande di asilo: nel 2011, infatti, il presidente democratico sospese per sei mesi quelle di cittadini iracheni.
Altro ancora per le anime belle: espulsioni immigrati dagli USA, amministrazione Obama (Fonte: Homeland Security). E mancano dati 2015/2016. pic.twitter.com/LpakH9Roui
— Mario Sechi (@masechi) 29 gennaio 2017
I numeri sotto Obama. Tra i giornalisti italiani che stanno cercando di fare maggior chiarezza su quest'ultimo atto di Trump c'è Mario Sechi, stimata voce per quanto riguarda le vicende americane. Molto critico con il miliardario di NY nei mesi scorsi, ora Sechi difende invece, almeno in parte, la decisione di Trump, sottolineando come, in realtà, non sia altro che il proseguimento di una politica già iniziata sotto la presidenza Obama, ma che allora non era stata pubblicamente resa nota. Lo dimostrerebbero i dati: dall'inizio del conflitto siriano (era il 2011 e alla Casa Bianca c'era, per l'appunto, Obama), l'Europa ha accolto oltre novecentomila rifugiati, mentre gli Usa soltanto diciottomila. Se ci si sofferma soltanto sui rifugiata siriani, inoltre, i numeri sono ancora più chiari: nel 2011 gli States ne accolsero soltanto 29, nel 2012 furono 31, 36 nel 2013, 105 nel 2014 e 1.682 nel 2015. Immensamente meno di quanti, invece, ne hanno accolti gli Stati europei. Numeri alla mano, Sechi sottolinea dunque come «Obama, dal 2011 al 2015, ha accolto in totale 1.833 profughi siriani, una media di 305 all'anno», così come, di anno in anno, Obama abbia alzato sempre più il numero delle espulsioni dal Paese, arrivate nel 2014 a 414.481.
Come fece Obama con l'Iraq nel 2011. La lista dei paesi è quella selezionata da Obama. No Muslim ban. Revisione delle norme di ingresso. https://t.co/K6IpHRgjdh
— Mario Sechi (@masechi) 29 gennaio 2017
In altre parole, secondo Sechi (che ha spiegato la propria opinione in un interessante articolo pubblicato il 30 gennaio su Il Foglio), parlare di "Muslim Ban" è errato. Si tratterebbe semplicemente di una normale revisione delle norme di ingresso, atto che viene posto in essere ogni inizio anno da ogni presidente degli Stati Uniti in carica. Poi, chiaramente, si può discutere della giustizia dell'atto in sé e sulle misure che prevede. E certamente le decisioni assunte da Trump sono quantomai criticabili. Ma un po' di chiarezza, in questi casi, è fondamentale. Perché se no si rischia di fare soltanto una campagna mediatica populista, lontana dalla realtà dei fatti.