Nessuno l'ha soccorso

Il profugo morto nel Canal Grande Una storia da non dimenticare

Il profugo morto nel Canal Grande Una storia da non dimenticare
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Era partito da lontano, dal suo Gambia, due anni fa. Era sbarcato a Pozzallo, in Sicilia, facendo richiesta di asilo. Alla fine si è lasciato scivolare nelle acque del Canal Grande a Venezia, in pieno giorno, davanti a centinaia di occhi che hanno osservato senza capire quello che stava accadendo e che alla fine increduli lo hanno visto lasciarsi inghiottire dalle acque. Da un vaporetto gli hanno gettato uno, due, tre salvagenti che lui aveva a portata di braccia. Il guidatore ha anche spento subito i motori per evitare il rischio che le eliche lo risucchiassero. Ma lui aveva deciso di farla finita e quindi non ha fatto quel semplice gesto che lo avrebbe salvato. La storia di Pateh Sabally, questo il nome del ragazzo (aveva 22 anni), è una di quelle storie che invece di passare agli archivi con il passare dei giorni, ha continuato a scavare nelle coscienze.

I video di quei suoi ultimi attimi hanno fatto il giro del mondo, sollevando anche note di indignazione da parte di tanta stampa estera: un paradosso per l’Italia trovarsi così bollata di razzismo, quando il nostro è il Paese sul quale pesa gran parte dell’ondata migratoria verso l’Europa. Un paradosso, visto che i meccanismi di accoglienza funzionano come in nessun altro paese del vecchio continente. Da quale pulpito, verrebbe da dire, visto come i francesi hanno trattato migliaia di migranti rinchiusi nella “giungla” di Calais.

Si poteva fare di più? Certamente. E oggi le autorità di Venezia hanno anche aperto un’indagine su una persona, un motoscafista del Casinò di Venezia, che potrebbe essere accusato di omissione di soccorso. Tuttavia è facile dire quello che si sarebbe dovuto fare predicando dalle pagine di un giornale o montando filippiche sui siti web. In questi casi ogni ricostruzione è forzatamente demonizzatrice. Chi non c’era ha sempre la verità in tasca riguardo a quello che si sarebbe dovuto fare.

In realtà storie come quelle di Sabally sono difficili da dimenticare. Restituiscono senza sconti il dramma di chi ha avuto la forza di emigrare passando per i pericoli più incredibili, e poi non trova la forza di resistere davanti all’infrangersi di un sogno. Lui che aveva retto al mostro delle acque del Mediterraneo, si è lasciato uccidere dalle acque placide del Canal Grande.

Luigi Brugnaro, il sindaco di Venezia, peraltro schierato a centro destra, ha voluto pagare i funerali del ragazzo attingendo al Fondo di solidarietà del Comune di Venezia, alimentato dall'intero importo della propria indennità di primo cittadino, e ha avuto parole pienamente condivisibili. «La morte di questo giovane», ha scritto, «ha lasciato in tutti noi un sentimento di tristezza e di umana pietà verso chi, di fronte alle avversità della vita, non trova più la forza di reagire alla disperazione. Si è trattato di un gesto di disperazione personale e ancora una volta è necessario stigmatizzare chi fa polemiche e sciacallaggio sulle tragedie, ma anche testimoniare con forza che la pietà per la persona umana rimane immutata, degna di essere sempre rispettata». Non è una scusante, ma è un far capire che la morte di quel ragazzo ci riguarda tutti e non solo quelli che erano lì, nel momento in cui il Canal Grande si è chiuso sopra di lui.

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