Francesca, la signora dei formaggi saluta il mercato di Piazza Pontida
Per dieci anni, ogni venerdì mattina alle sette e mezza è arrivata in piazza Pontida con il suo Fiorino, ha scaricato formaggi e banco, bilancia e sacchetti. Per dieci anni, dal primo giorno del mercatino settimanale dei prodotti agricoli, fino all’ultimo venerdì dello scorso dicembre. In quel freddo mattino di fine anno ha salutato i clienti e i compagni d’avventura, i contadini ambulanti. Quello del latte, quello del miele, quello della farina di mais macinata a pietra, quello della verdura biologica. E tutti gli altri. Francesca Gibellini si è messa in pensione.
E adesso è qui, nella cucina della sua azienda agricola di Cologno al Serio, sulla strada che porta a Castel Liteggio, nel cuore della Bergamasca agricola che resiste ai colpi del progresso fatto di asfalto e capannoni. Nella cucina grande e linda la stufa economica borbotta. Lo fa da sessant’anni, da prima che Francesca nascesse. Francesca ha i capelli corti e gli occhi azzurri, vivaci. Dice: «Ero stanca. Da quando ero bambina faccio questo lavoro, i miei erano contadini. Per noi non ci sono mai stati né sabato né domenica. Quando hai gli animali non chiudi mai l’ufficio. Ogni giorno devi pulire, dare da mangiare, mungere... E poi la campagna, fuori. Mi ricordo quel primo giorno del mercatino di piazza Pontida. Siamo arrivati noi agricoltori con i nostri prodotti e non sapevamo bene come metterci. Doveva esserci la presa di corrente per i frigoriferi, ma la presa non c’era. Io ero stata previdente, avevo portato un generatore: così si sono attaccati tutti al mio generatore. Era il 2006. Il mercatino ha avuto successo, per me è stato molto importante, integrava il reddito familiare. Prezioso soprattutto negli ultimi anni, con il prezzo del latte crollato e le quote latte, che avevamo acquistato un po’ alla volta con grandi sacrifici, che non valgono più niente».
Francesca parla, la stufa borbotta, la cucina è al piano terra dell’abitazione, fuori c’è l’aia, si vedono i cani che trotterellano. Continua Francesca: «Mio marito si chiama Elio, anche lui è di Cologno, figlio di contadini. Però da giovane è stato in fabbrica. Ma quando nel 1983 ci siamo sposati abbiamo deciso di ricominciare dalla terra. Anche se io non ne volevo più sapere. Quando ero ragazzina volevo studiare, ma ero la prima figlia e allora c’era da aiutare nella piccola azienda del papà. Leggevo molto. Ho sempre letto, per quel che il tempo ha consentito. L’idea di tornare a fare i contadini dopo il matrimonio è stata di mio marito. Io odiavo questo lavoro, ma ero innamorata». Nell’angolo della cucina c’è un pianoforte verticale, sopra diverse pile di libri. Dice: «Sì, ho suonato il pianoforte. Ma poi ho smesso».
L’azienda di Francesca Gibellini e Elio Begnini contava più di cento capi, mucche da latte. Le hanno vendute tutte. Dice Francesca: «Non potevamo semplicemente ridurre i capi perché se hai dieci vacche è come averne cento, nel senso che ogni giorno devi pensare a loro. Mi è spiaciuto, certo, non è facile cambiare vita. Ma è così. Del resto i nostri due figli non ne volevano sapere, uno è laureato in medicina, l’altro in chimica. Adesso mi alzo ancora tutte le mattine alle sei, ma non c’è la sveglia che suona».
Nel 1996 l’azienda agricola si è trasferita nel luogo dove si trova oggi. «Sono passati vent’anni - racconta Francesca. - Un lampo. Negli ultimi tempi producevamo tremila e settecento quintali di latte all’anno. Mille di questi li usavo per preparare i formaggi per il nostro spaccio e per i due mercatini che facevo, Treviglio e piazza Pontida a Bergamo. Con il crollo del prezzo del latte, era difficile andare avanti. Ci hanno tenuti a galla i formaggi». Francesca è la casara, la preparatrice dei formaggi, quattro-cinque tipi. Cavallo di battaglia il taleggino morbido. «Ci siamo sempre impegnati per fare le cose bene, cercando il prezzo giusto. Il taleggino, per esempio, lo vendevo a 6,80 euro al chilo al pubblico. Non c’era da diventare ricchi, ma è il prezzo onesto».
Intorno alla cascina Begnini ci sono campi brulli. I semi aspettano la primavera. Cresceranno mais, frumento, erba medica, oietto. Dice Francesca: «Cerchiamo di mantenere il terreno, di non impoverirlo facendo ruotare le colture. La terra è importante, se la impoverisci devi andare avanti a potenti concimi chimici, ma alla lunga diventa un deserto».
Suo padre, racconta ancora, le insegnò a mungere a cinque anni. Da allora ne sono trascorsi cinquanta. Improvvisamente non ha più mucche, si annoierà? Risponde Francesca: «No, per niente. Finalmente potrò cucinare con calma, cosa che mi piace un sacco. Potrò leggere tanto. Quando ero ragazzina leggevo un sacco di romanzi di fantascienza, li compravo di seconda mano, gli Urania, sulla bancarella che stava vicino al Donizetti. Ricomincerò a suonare il pianoforte. E starò un po’ in pace con mio marito, magari faremo qualche viaggio. Adesso abbiamo programmato di andare a trovare nostro figlio, a Uppsala, in Svezia. Quattro giorni, viaggio in aereo. Sono emozionata».