Le sue parole

Chi sarà il nuovo parroco di Curno

Chi sarà il nuovo parroco di Curno
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Siamo andati a Foppenico a conoscere don Angelo Belotti, che dal prossimo settembre sarà il parroco di Curno. Don Angelo nasce nel 1949 a Serina: «Sono un uomo di montagna, come don Giancarlo che era di Oltre il Colle. Sono nato il 18 gennaio e quindi sono molto devoto a Sant’Antonio Abate. A 11 anni, subito dopo le elementari, entro in seminario a Clusone, ispirandomi all’allora curato di Serina; volevo essere come lui, che stava bene con noi e noi bene con lui.

La formazione e l'ordinazione. Dopo qualche anno veniamo trasferiti nel primo lotto del seminario di Bergamo. Gli anni dell’adolescenza sono belli, ma difficili e conflittuali. L’impegno scolastico era ingente e la disciplina decisamente rigida. La mia famiglia è numerosa, per cui sentivo molto la mancanza; potevamo tornare solo a Natale, Pasqua e d’estate. La vita di gruppo coi compagni e le esperienze con loro hanno però riempito quel vuoto. Finito il liceo, sono iniziati i cinque anni di Teologia: a quel punto le motivazioni diventano decisive, perché senza di esse viene meno la forza per proseguire il percorso. La mia scelta diventa sempre più chiara e ferma, fino all’ordinazione, avvenuta nel 1974. L’ho ricevuta da monsignor Gaddi in cattedrale a Bergamo, insieme ai miei 25 compagni. Tra di loro, il mio amico fraterno Basilio Bonaldi, anche lui di Serina. Il paese ci accoglie festante dopo l’ordinazione, sono ricordi di grande felicità.

L'oratorio di Petosino. Dopodiché si parte: vengo mandato a Petosino come coadiutore. Dopo tanti anni di formazione all'interno dell’istituzione ecclesiastica mi sono trovato di fronte a delle responsabilità dirette nei confronti degli altri. L’oratorio era vivace e molto frequentato: l’impatto è stato forte, quasi desideravo tornare nel nido del seminario. Ma dopo le prime difficoltà l’esperienza si è rivelata superlativa: mi sono integrato bene con la comunità, anche perché insegnavo religione alle medie e quindi ho legato molto coi ragazzi. Sono stati anni molto belli, costruttivi, nei quali ho riscoperto appieno la passione per la figura del prete, che mi aveva mosso da bambino.

Dodici anni in Bolivia. Nel 1981 arriva il grande salto. Mi chiama il vescovo Oggioni e mi propone una missione diocesana come sacerdote fidei donum, cioè in missione dove già esiste una diocesi. Chiedo di posticipare per completare l’anno in oratorio. Dopo tre mesi di seminario parto per l’America Latina, nel gennaio 1982, destinazione Bolivia, alla periferia di La Paz. E lì ritrovo il mio amico e fratello Basilio, anche lui in missione nel medesimo luogo. Rimango con lui sei anni: il nostro compito era formare le comunità ecclesiali di base, che si ritrovavano nelle case. Animatori e responsabili venivano formati da noi attraverso la Parola. Ci occupavamo poi di formare i laici per farli diventare a loro volta animatori e soprattutto la nostra attenzione e impegno andava ai più poveri tra i poveri. Cercavamo poi di promuovere il clero locale, favorendo le vocazioni perché la Chiesa potesse avere abbondanza di clero in quelle zone. Dopo sei anni il vescovo Oggioni mi sposta, sempre nella periferia di La Paz, ma più a nord. Lì mi sono occupato anche di una quindicina di comunità contadine dell’altipiano, molto isolate».

Da cosa si parte quando ci si trova in Bolivia, senza appigli? «Da Nazaret, dall’ascolto degli altri, dalla pazienza, e poco alla volta si impara, anche la lingua. Ho sentito fortissimo l’aiuto e l’accompagnamento del Signore, mi sorprendeva quasi. Nel 1994 il vescovo Amadei, in visita in Bolivia, mi chiede cosa volessi fare, se restare o tornare. Lui mi consigliava di tornare, per riportare nella diocesi la ricchezza di quell’esperienza. C’è molta libertà in questo senso, se avessi voluto sarei potuto restare. Ma sono molto legato alla mia diocesi e quindi poco tempo dopo sono stato trasferito a Foresto Sparso, come parroco.

Foresto Sparso. L’impatto con l’Italia dopo 12 anni di Bolivia non è stato facile: qui è differente il modo di operare e di pensare, inoltre dovevo riprendere contatto con una realtà che in 12 anni era cambiata molto. Mi sono adeguato ancora una volta a uno stile pastorale diverso, con metodi, tempi e strutture differenti. Come per ogni cambiamento, la tentazione è sempre quella di tornare indietro. Ma anche a Foresto ho intessuto rapporti cordiali, sinceri, familiari, che sono la prima condizione necessaria per lavorare serenamente e far avvicinare le persone. Mi sono inserito nel cammino di quella comunità, portando la mia impronta. Tornando in Italia mi sono accorto di quante cose superflue e spesso nocive ci sono. Col tempo sono riuscito a lavorare anche su questo aspetto. A Foresto l’esperienza è stata ricchissima.

Foppenico. Infine, nell’ottobre 2003 sono stato trasferito a Foppenico. Questa volta la novità era data dalla differenza della realtà in cui mi inserivo, non più paesana, decisamente più composita. Quattromila abitanti e una notevole complessità sociale e umana: persone originarie di qui, molti meridionali venuti nei decenni passati, parecchi immigrati del nord Africa e negli ultimi anni anche dall’est Europa. Ho portato avanti il tipo di pastorale già in atto col parroco precedente, che era rimasto molti anni. La difficoltà oggi a lasciare prova che ci siamo trovati bene, infatti non abbiamo mai avuto problemi di integrazione. Se ci presentiamo bene come Chiesa, non ci sono motivi per cui ostacolarla. Altrimenti, un sacerdote non fa bene la sua missione, perché il Vangelo è apertura. Molte persone di fede non cristiana hanno partecipato e partecipano all’oratorio, ai gruppi, alle feste, agli incontri. Siamo cresciuti insieme, spero che i semi piantati continuino a dare frutti anche dopo di me».

E Curno. A settembre un nuovo inizio: «Come in ogni passaggio del mio percorso ho dovuto affrontare questioni nuove, così sarà nel trasferirmi a Curno. Ed è giusto così, le novità non permettono di sedersi e vivere di rendita. Ben venga questa nuova sfida, in una realtà nuova per me, con la quale continuare il cammino di fede».

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