Licini, che da 41 anni organizza il tennis (vip) per solidarietà
Quando dici tennis a Bergamo il primo nome che viene in mente è quello di Giovanni Licini. Che non è un campione, ma un appassionato. Talmente appassionato da avere organizzato per 41 anni, senza perdere un colpo, il Tennis Vip, oggi Tennis dell’Accademia dello Sport per la Solidarietà.
Licini, partiamo dall’inizio.
«Mi piacevano molto il mio lavoro e la mia banca a Milano: aveva un mega centro sportivo a disposizione dei dipendenti. Per un ragazzo che veniva dalla provincia vedere piscine, campi da tennis, palestre, laghetti era un sogno. La Cariplo possedeva anche villaggi marini per i bambini, case al mare, case in montagna. A Bergamo invece non aveva niente, solo tante filiali e gente che lavorava a testa bassa».
E quindi?
«Mi sono detto: proviamo a fare qualcosa anche noi. Nel dopo lavoro ho fondato un gruppo sportivo aziendale e nel giro di tre anni siamo arrivati a 230 iscritti».
Lei era uno sportivo?
«Non esattamente: giocavo a calcio e a tennis, avevo tanta passione, ma i risultati erano - diciamo così - normali. In campo, insomma, non facevano affidamento su di me, però io organizzavo le partite e quindi non potevano lasciarmi fuori. Ero in squadre con con Magnocavallo e Donina e qualche gol lo facevo anch’io: quando uno di loro mi metteva il pallone davanti alla porta vuota, difficilmente sbagliavo».
Come si è chiusa la prima settimana del #Tennis2017? Ma semplice, ALLA GRANDE!
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Pubblicato da Accademia Sport Solidarietà su Sabato 27 maggio 2017
Dov’era il vostro centro sportivo?
«Abbiamo cominciato a Lallio, giocavamo a tennis sotto il campanile. Mi ero messo d’accordo col parroco sugli orari. In cambio gli avevamo fatto avere un po’ di soldi in beneficenza per ristrutturare la chiesa di San Bernardino. Nel torneo giocavano Domenghini, Miro Radici, Fausto Radici, Fred Bongusto, dirigenti della Legler e della Sace. Grazie al tennis sono diventato amico di Facchetti. Dopodiché abbiamo organizzato, da zero, il primo Torneo Clienti Cariplo a Zingonia: 168 partecipanti».
Come funzionava?
«Ogni filiale mi mandava un cartoncino, garantiva il direttore dicendo: è un mio cliente. In quell’epoca vennero a Zingonia i massimi esponenti della Cariplo e l’avvocato Franco Mai, della commissione centrale di beneficenza. “Questa cosa funziona”, disse e ci diede un contributo. Da quel momento abbiamo cominciato a fare le cose in grande».
Così nel ‘76, quindi 41 anni fa, è nato il Tennis Vip Cariplo.
«Guardi, facevamo più clienti con il torneo di tennis che offrendo chissà cosa. E forse anche grazie al tennis sono riuscito a fare carriera perché avvicinavo più clienti alla banca. Divenni vicedirettore in alcune filiali e infine vicedirettore della sede di Bergamo».
Nel 2004 avete trasformato il torneo di tennis in torneo per beneficenza, sono tredici anni che raccoglie fondi.
«L’idea l’hanno avuta Franco Morotti e Sergio Pedroli. Ci dissero: “Perché non costituite una vostra associazione, l’Accademia del tennis? Gli utili li date a chi ha bisogno”».
Chi avete aiutato?
«Il primo anno ci hanno segnalato l’Istituto Angelo Custode di Predore allora guidato da don Mansueto Callioni. Ad aprile l’ho chiamato: “Don Mansueto, vorremmo farvi una donazione alla fine del torneo”. “Va bene, grazie”. Il 3 settembre l’abbiamo richiamato e gli abbiamo consegnato quaranta milioni di lire. Don Mansueto ha sgranato gli occhi: “Di solito la gente mi chiede aiuto e poi sparisce. Voi mi avete sentito una volta e mi date quaranta milioni...”. Era sbalordito».
Complessivamente quanto avete raccolto?
«Siamo arrivati a un milione e 200mila euro. L’anno scorso abbiamo aiutato anche Amatrice con fondi straordinari. Le casette ci sono costate 20mila euro l’una. Quest’anno sosteniamo i ragazzi Down per l’inserimento nel mondo del lavoro, l’Hospice e la Patologia neonatale».
La vostra strategia è sempre stata aiutare enti e associazioni del territorio.
«Noi non diamo contributi, ma approviamo e finanziamo progetti. In consiglio siamo sette persone e recentemente sono entrati Cristina Radici, la moglie di Luca Percassi, e Danilo Arizzi. Il ceppo storico è quello della Valseriana. Negli Anni Settanta era la Valle dell’Oro».
Perché lei fa tutto questo?
«Per passione e per amicizia. Quando si fa qualcosa, in gruppo è più facile. Tutti hanno momenti di affaticamento, di disinteresse, ma insieme uno trascina l’altro. Quello che mi onora è che nell’Accademia ci sono ancora tanti colleghi della Cariplo. Loro mi hanno piazzato là e hanno condiviso con me tutta la vita. Da soli non si fa nulla».
Questa capacità organizzativa non poteva utilizzarla per creare un’azienda?
«Nella vita quando c’è la salute e l’armonia non bisogna andare a cercare chissà che. Io sono soddisfatto di quello che ho ottenuto. Ho una famiglia che mi sostiene, una tranquillità interiore, cosa vuoi chiedere di più?».
Lei è diventato nonno di due nipotine.
«Lavoro dieci, dodici ore al giorno, loro sono l’unica cosa che mi trattiene un po’. Vorrei stare sempre con loro».
Mai pensato di impegnarsi in politica?
«Me lo hanno chiesto, ma uno deve essere tagliato. Io quando devo dire una cosa la dico in faccia. La gente o mi apprezza o non mi apprezza per questo: non sono abituato agli ammiccamenti. Corro per la mia associazione e nient’altro».
Ha avuto riconoscimenti per questa opera di volontariato?
«Il presidente Napolitano mi ha mandato una medaglia. L’anno scorso il presidente Malagò mi ha dato una targa del Coni. Nel 2000 mi dissero che sarei stato nominato cavaliere e avrei dovuto presentarmi in prefettura il tal giorno. Ho pensato a uno scherzo dei miei amici (io ne faccio spesso a loro) e ho lasciato cadere la cosa. Cinque giorni prima però mi è venuto il dubbio e ho telefonato in prefettura fingendo di essere un altro: “Posso sapere chi sono i nuovi cavalieri?”. Dall’altra parte mi hanno elencato i nomi e quando ho sentito il mio, ho fatto un salto sulla sedia: era tutto vero. Bergamo poi, cinque anni fa, con l’amministrazione Tentorio, mi ha fatto cittadino benemerito».
Lei di che cosa vive?
«Della mia pensione. Mia moglie ha un negozio di arredamenti a Scanzo e non ci lamentiamo per niente».
Quanti amici ha?
«Gli amici si contano solo alla fine della vita. Di conoscenti ne ho tantissimi. Quando la gente ha bisogno di qualcosa, mi chiama. Fa parte del mio Dna dare una mano. Quelli che aiuto sono sponsor a vita per me».
Ci racconti una cosa che le è piaciuta a Bergamo.
«Gliene racconto una che mi è dispiaciuta. C’è di mezzo anche lei: il centenario dell’Atalanta».
Mi aiuti a ricordare.
«Ho dato l’anima per otto mesi per far sì che l’Atalanta celebrasse il centenario in modo importante. Avevo raccolto un milione e 300mila euro (erano tanti soldi) in sponsor. Mi aveva incaricato il presidente Ruggeri. Cercavo di dialogare con tutti e di organizzare una festa dei tifosi che tenesse conto anche del passato. Ho avuto problemi con l’Eco - quando lei ne era direttore - perché un giornalista pretendeva le notizie in esclusiva. Il direttore generale dell’Atalanta di quell’epoca poi mi diceva: questo lo inviti e quest ’altro no. Infine c’è stato il caso del concerto di Gigi D’Alessio…».
Be’, lo ammetta: quella è stata una sua autorete.
«No, le spiego. Ho chiamato i tifosi della Curva e ho detto loro: abbiamo l’opportunità di avere da Gianni Morandi a Gigi D’Alessio. Mi hanno risposto: uno è tifoso del Bologna e l’altro del Napoli. Ho spiegato loro che non sarebbero venuti come tifosi del Bologna o del Napoli, ma a fare la festa dell’Atalanta. Abbiamo discusso e infine concordato che li avrei portati e avrei fatto cantare anche il Bepi. Tutto organizzato per fine maggio. Nel frattempo mi chiama Roby Facchinetti e mi dice: facciamo il nuovo inno dell’Atalanta. Lo abbiamo registrato con i cori nerazzurri. Infine parlo con Sky che stabilisce di collegarsi con Bergamo il giorno della festa dalle 14.30 alle 14.55. In programma quella domenica c’era Atalanta-Fiorentina. Mi metto d’accordo con Prandelli, gli dico che per il riscaldamento pre-partita gli avremmo lasciato solo le due porte, in modo da poter fare la coreografia in mezzo al campo. Tutto era pronto, organizzato. Due giorni prima mi raggiunge un incarico dell’Atalanta e mi dice: il direttore generale ha detto che se vuoi fare questa cosa la devi fare alle 12.30. “C’è lo stadio vuoto”, gli rispondo. E lui: “O così o niente”. Ho salutato Ruggeri e dal giorno dopo non c’ero più».
E non si è fatto più niente.
«C ’era di mezzo anche un triangolare con Atalanta, Real Madrid e una squadra araba. Il direttore generale in quel periodo ha fatto di tutto per creare un solco tra la tifoseria e la dirigenza dell’Atalanta, non so perché».
ll suo orgoglio più grande?
«Aver portato 350 persone all’udienza del mercoledì da Papa Francesco. Il giorno prima a Roma sono andato a ritirare i biglietti e me ne hanno dati due, uno per me e uno per mia moglie, a fianco del Papa. Ho detto a mia moglie: “Sono arrivato qui con tutti i miei e io devo andare là e gli altri giù? No. Però non posso neanche lasciare due posti vuoti”. Ci ho pensato tutto il pomeriggio e alla fine ho deciso di “vendere” i biglietti: chi avrebbe contribuito per l’Accademia sarebbe andato in prima fila. Ho chiesto ottomila euro a biglietto (in cambio gli avrei dato anche un dipinto di un noto pittore). Alla fine sono andate le mogli di due imprenditori. Ma quando il Papa ha salutato l’Accademia in Piazza San Pietro è stato un momento di commozione estrema. Eravamo a Roma al vertice del mondo, più bello di così…».
Chi tiene i conti dell’associazione?
«Da quando esiste il Tennis Vip, la gestione della contabilità è in mano ad altre persone. Io se faccio una spesa di 50 euro porto la pezza giustificativa. Non ho mai avuto una firma. Le malelingue ci sono sempre, ma nessuno può dire niente di me perché tutti sanno che da qui non può uscire un centesimo in modo illegale. Questo è l’altro mio motivo d’orgoglio».