Doddore, il Braveheart sardo che ha lottato fino alla fine

È morto ma rischia di finire ugualmente sotto processo «per falsa attestazione sul gratuito patrocinio». È il destino paradossale e amaro di Salvatore Daddore Meloni, il Braveheart sardo che il 4 luglio scorso è stato stroncato dal lungo sciopero della fame e della sete, iniziato per protestare proprio contro la persecuzione di cui si sentiva vittima da parte della giustizia. Il processo non si è estinto per morte del reo, come vorrebbe la legge, ma è stato rinviato a lunedì prossimo davanti al Tribunale di Oristano; e questo perché i giudici sono ancora in attesa del suo certificato di morte.
Così lo stato continua ad accanirsi contro questo sognatore romantico dell’indipendentismo sardo. Un uomo di 74 anni che stava scontando al penitenziario di Uta a Cagliari una condanna a complessivi quattro anni e mezzo per reati fiscali e falso (il reato per cui è ancora “acceso” il processo), mentre la pena massima prevista dalla legge perché possa essere concessa la custodia domiciliare è, senza alcuna possibilità di deroga, di quattro anni. Non molti giorni prima il magistrato di sorveglianza del Tribunale di Cagliari aveva perfino respinto la richiesta di arresti domiciliari. Per protestare contro questa sua situazione aveva iniziato uno sciopero della fame e della sete che aveva reso necessario un suo ricovero nell’ospedale della Sanissima Trinità a Cagliari.
Doddore Meloni non era certo al primo duro confronto con la giustizia, che non gli ha mai perdonato questo suo utopismo e gli ha fatto pagare in modo pesante ogni scorribanda. Unico italiano condannato per cospirazione contro lo Stato, finì in carcere e ci restò per nove anni. «Mi hanno tenuto 33 giorni in un reparto dell’ospedale di Nuoro con gli aghi sulle braccia, per costringermi a confessare chissà cosa», raccontò. «Se non mi avessero messo le manette, la nostra nazione esisterebbe dal 1982. Io, comunque, ci credo ancora».
Tra le sue imprese da Braveheart dell’indipendentismo sardo ci fu, dieci anni fa, l’occupazione dell’isola di Maldiventre al largo della costa occidentale della Sardegna. Ma il suo sogno fu affondato dai blitz della polizia e per lui da lì sono iniziati i guai. «Da quel momento», ha denunciato il suo avvocato Cristina Puddu, «ha affrontato ben 24 procedimenti penali». Meloni era presidente del movimento separatista Maris. La sua maggior colpa è stata quella di non aver mai riconosciuto alcuna legittimità alla presenza dello Stato italiano in Sardegna. «Meloni era un indipendentista: un fatto che già lo squalificava agli occhi della classe dirigente italiana», ha scritto Carlo Lottieri su Il Foglio.
«Per giunta era una persona semplice, dato che di professione era un autotrasportatore. Qui come in altre circostanze simili è stato facile percepire quanto la società italiana sia intimamente classista: perché una cosa è difendere la libertà di parola di un professore universitario o un romanziere, e tutt’altro è schierarsi con un uomo comune, un lavoratore che appartiene a universo estraneo a ogni salotto romano o milanese». Ma lui non se ne faceva problema. Come aveva detto al suo avvocato qualche settimana prima della fine, «le sfide della vita non si possono lasciare a metà. Solo così si possono ottenere grandi risultati, so benissimo qual è il rischio che sto correndo in queste ore».