Beneficenza chic in Galleria dove il lusso splende da 150 anni

Compie gli anni la Galleria più famosa e più ricca d’Italia, e questa sera a festeggiarla saranno in 900: 900 ospiti che per sedersi a uno dei 92 tavoli allestiti sotto le altissime volte di ferro e vetro devono staccare un assegno di 500 euro ciascuno. Appuntamento alle 21; il ricavato di 300mila euro (al netto delle spese), sarà devoluto in beneficenza a Caritas Ambrosiana per progetti in sostegno dei più poveri. Così la Galleria Vittorio Emanuele di Milano vivrà la sua grande serata di gloria.
La costruzione della Galleria. Venne eretta su un’idea di un grande lombardo come Carlo Cattaneo che nel 1839 aveva lanciato la polemica sullo stato di fatiscenza della zona intorno al grande Duomo. Il comune in realtà non fu lestissimo a raccogliere l’idea di costruire un grande passaggio coperto che unisse la cattedrale all’altro “tempio” milanese, La Scala. Solo nel 1860 lanciò il bando per il progetto. Vinse quello di Giuseppe Mengoni, mentre per l’appalto della costruzione la spuntò una società inglese, la City of Milan Improvements Company Limited. Posa della prima pietra nel 1865, conclusione dei lavori 12 anni dopo, nel 1877. Cioè 150 anni fa.
Sfarzo e solennità. La Galleria divenne subito “il salotto” di Milano, per l’eleganza degli esercii commerciali che avevano aperto i battenti, a iniziare dai bar, come il Campari o il Biffi. Fu anche teatro dei primi esperimenti di illuminazione pubblica. Nel suo periodo iniziale infatti veniva illuminata a gas: per l'accensione delle lampade sull'ottagono si usava un marchingegno automatico costituito da una piccola locomotiva che accendeva progressivamente i lumi chiamato rattin (che in milanese significa topolino). L'impianto cruciforme i cui bracci si incontrano in una cupola vetrata, ispirato ai disegni del Crystal Palace di New York, fu il primo nella storia dell'architettura europea, anticipando Londra e Parigi. Non tutti però digerirono quel monumentalismo che inneggiava al re dell’Unità d’Italia e che quasi voleva fare a gara con il Duomo. «La deprecabile mania del mastodontico – che non è da confondersi col monumentale – è cominciata da lì», disse un grande scrittore milanese, Dulio Tessa.
Ma alla fine la storia ha dato ragione alla megalomania di quella borghesia milanese che voleva dotarsi di un luogo dove trovarsi, trafficare e anche divertirsi. Una novità che piaceva a tanti: «A Milano, passammo la maggior parte del tempo all'interno del grande e magnifico Loggia, o Galleria, o comunque la si chiami. Isolati formati da alti e sontuosi palazzi nuovi questa è la Galleria. Mi piacerebbe viverci per sempre», scrisse Marc Twain di passaggio dal capoluogo lombardo.
Lo sfavillante presente. Passati 150 anni la Galleria è più salotto che mai. È il luogo di passaggio commerciale più frequentato d’Italia, con oltre 22 milioni di persone che vi mettono piede ogni anno. Aprire una vetrina sotto le immense volte del Mengoni è un vero affare, a patto di avere i soldi per pagare gli affitti faraonici che alimentano i bilanci del comune. Se lo possono permettere i grandi marchi di moda che poco alla volta hanno preso possesso di tutti gli spazi. E se lo può permettere 1 numero uno degli chef italiani, Carlo Cracco, che sta allestendo il suo mega ristorante in un grande spazio che si affaccia proprio sul cuore della Galleria, il famoso Ottagono. Intanto questa sera lui sarà tra i commensali.
Per ovvie di ragioni di sicurezza, l’ingresso della galleria è stato sbarrato con le barriere di cemento, i New Yersey, come tutte le principali strade d’Europa. Ovviamente in questo caso sono stati abbelliti a dovere: li hanno dipinti d’oro.