L'amarezza non cancella la passione

«Ma è quello? Sembra quello del Verdello...», mormorava qualcuno mentre il pullman passava a poche centinaia di metri dal Gsp Stadium di Nicosia, l’impianto che circa 36 ore dopo avrebbe ospitato il match di Europa League tra i padroni di casa dell’Apollon Limassol e l’Atalanta. Quello del Verdello, diceva. Be’, non proprio. E se c’era qualche dubbio sulla differenza dei due stadi, ci hanno pensato le immagini della partita a fugare ogni dubbio: il Gsp è un signor stadio, in grado di ospitare 23mila persone e con tribune proprio a ridosso del manto erboso. Insomma, un palcoscenico di tutto rispetto.
Peccato che l’Apollon, in realtà, lì sia ospite tanto quanto l’Atalanta, visto che gioca lì perché il suo vero stadio, quello di Limassol, non è a norma Uefa (vi ricorda qualcosa?). Questo per dire che, alla fine, il bell’impianto ha fatto soltanto in minima parte un’ottima figura, visto che il pubblico non superava le settemila unità. E per fortuna che c’eravamo noi bergamaschi: oltre ottocento cuori in fiamme per la Dea, sparsi tra settore ospiti e tribuna centrale, che per tutto il match abbiamo cantato e supportato i ragazzi. Che bellezza sentire quei tamburi dare il ritmo alle nostre voci e ai nostri cuori.












Il primo gruppo di tifosi è sbarcato in terra cipriota la mattina di mercoledì 1 novembre con un volo charter decollato da Orio e atterrato a Larnaca, cittadina di mare distante qualche decina di chilometri da Nicosia. Un manipolo di cento nerazzurri tra tifosi e giornalisti che si è goduto in anticipo il clima quasi estivo di Cipro. La maggior parte della tifoseria atalantina, invece, è giunta sull’isola la giornata stessa di giovedì 2 novembre: la mattina i ragazzi e le ragazze del Club Amici e di Chei de la Coriera, poco dopo la folta rappresentanza della Curva Nord. E sono stati proprio questi ultimi, come sempre, a suonare la carica nerazzurra al momento giusto, cioè dopo il fischio d’inizio della partita. Perché saremo stati anche meno di loro, ma come facciamo festa noi, nessuno.
Se Lione era stato il grande ritorno, il viaggio del sogno ritrovato ventisei anni dopo, Nicosia è stata la trasferta della speranza, dell’impensabile che poteva diventare realtà. Se in Francia l’emozione era tutta di pancia e legata ai ricordi, a Cipro la tensione era tutta di testa e legata all’importanza del risultato. Il cuore, invece, è ovviamente titolare inamovibile quando si parla di Atalanta, sia che si giochi sul campo del passato, sia che si giochi su quello del futuro. E anche stavolta i campioni sugli spalti ce lo hanno messo tutto. Perché quando i tifosi nerazzurri si muovono, che siano ottocento o diecimila, è come se si portassero dietro tutta Bergamo. La città, le valli, la Bassa, l’Isola: non sono solo loro, sono un popolo in viaggio per supportare un patrimonio di tutti, l’Atalanta.








Alla fine, ahinoi, l’amarezza ha seriamente fatto traballare la passione. Ma è stata questione di un attimo, quella manciata di secondi trascorsa tra il maledetto pareggio di Zelaya e il fischio finale dell’arbitro. Poi, di nuovo, solo applausi. Perché, come si cantava a Udine in una Dacia Arena semivuota, «siamo sempre con voi, non vi lasceremo mai». Nessuna banale promessa, solo un dato di fatto: i tifosi ci sono e ci saranno sempre. Anche in serate come quella di Nicosia, dove i 2.300 chilometri percorsi sono stati beffardamente ripagati dal dispiacere di vedere un sogno raggiunto sfumare. Ma non del tutto. La festa è soltanto rimandata. E, già lo sappiamo, sarà bellissima.