C’è qualcosa di inspiegabile nell’Isis
Negli ultimi secoli di storia, nessuno era riuscito a fare ciò che sta facendo l’Isis tra Siria e Afghanistan, ovvero la creazione di un perfetto Stato (il Califfato) federale, basato su di un leader politico e carismatico come Abu Bakr al-Baghdadi, coadiuvato da amministratori, consiglieri e ministri. C’è l’amministrazione della giustizia, c’è l’erogazione di servizi come cibo, acqua ed elettricità alla popolazione, c’è anche la riscossione delle tasse. L’Isis è riuscito, in meno di due mesi, dove Bin Laden e la sua al-Qaeda fallirono. Il giornalista Dario Fabbri, sul settimanale Pagina99 andato in edicola il 6 settembre, ha offerto un'interessante fotografia riguardante il funzionamento di questo nuovo Stato che sta facendo tremare Stati Uniti e Occidente intero.
[Una rara immagine del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi]
L’amministrazione. Al-Baghdadi è il Califfo, quello che noi chiameremmo il premier, e al suo fianco c’è un vero e proprio esecutivo, composto da otto dipartimenti divisi tra affari interni ed esteri. C’è un ministero della Finanza, uno degli Armamenti, un altro dedicato alle operazioni militari. Non mancano quello per l’applicazione della sharia e quello che si occupa della comunicazione. L’Isis è dotato di un gabinetto di guerra composto da tre consiglieri fidatissimi di al-Baghdadi, ma al suo fianco si contano almeno 25 persone di spicco. Tra queste, molte le ha conosciute negli anni di prigionia a Camp Bucca, carcere americano in suolo iracheno, mentre altri sono personaggi abituati ai ruoli di comando perché hanno già ricoperto quei ruoli sotto Saddam: si pensa che almeno 8 dei 25 “bracci destri” del Califfo siano ex fedelissimi di Hussein. Tra i principali amministratori dello Stato Islamico c’è anche un australiano: Mohamed Elomar, uno dei più temuti tra gli uomini di al-Baghdadi. Il territorio è suddiviso in 12 provincie, guidate in stile federale, ovvero provincie semi-autonome e gestite da figure plenipotenziarie dette Vali. Il loro compito è mantenere l’ordine, amministrare la giustizia e riscuotere le tasse.
Il fisco e la capacità di autofinanziarsi. Ciò che, fino ad oggi, meno si capiva era l’incredibile forza economica che ha dimostrato di possedere l’Isis. Ma gran parte del buon funzionamento di uno Stato si basa sulla capacità di autofinanziarsi e il Califfato non è da meno. Fino a 12 mesi fa, l’Isis non era altro che uno dei tanti piccoli gruppi jihadisti presenti tra Siria e Iraq, lautamente tenuti in vita dalle monarchie del Golfo quali Arabia Saudita, Qatar e Kuwait, che puntavano all’abbattimento del regime di al-Assad e alla distruzione dell’Iran. Col tempo, i miliziani hanno iniziato a sviluppare una serie di voci economiche illegali e indipendenti da aiuti esterni: razzie di banche, conquiste di pozzi di petrolio e, soprattutto, rapimenti. Come spiega Pagina99, non si sa, ma negli anni l’Occidente ha pagato cifre esorbitanti per liberare propri cittadini finiti in mano ai miliziani, andando così a rimpinguare di non poco le casse jihadiste. Il Califfato ha oggi nel petrolio una sua grande ricchezza. Attualmente detiene il 70% dei pozzi della Siria, tra cui quello di al-Omar, il più grande, e anche 7 pozzi iracheni, in grado di produrre più di 500 mila barili di petrolio al giorno. Si è stimato che, solamente grazie alla vendita del greggio, l’Isis incassi circa 2 milioni di dollari quotidianamente. Ciò perché lo lavora in loco e poi lo mette sul mercato nero al prezzo di circa 30 dollari a barile, cifra lontanissima dai 100 del mercato legale. Importantissima, in ogni Stato, è anche la riscossione delle imposte: a Raqqa, città siriana che molti considerano la capitale del Califfato, ogni due mesi i commercianti pagano una cifra pari a 20 euro in cambio di elettricità, acqua e sicurezza, decisamente inferiore rispetto a quanto richiedeva loro al-Assad. Le compagnie di telecomunicazione versano all’Isis cifre considerevoli per continuare a sfruttare i ripetitori posti nelle zone conquistate dai miliziani e anche i pochi cristiani rimasti e non osteggiati sono costretti a pagare una tassa, chiamata jizya (residuo dell’Impero ottomano) e che ammonta, almeno a Mosul, a circa 250 dollari. Basandosi su questi dati, si è calcolato che nelle casse dell’Isis, attualmente, ci sarebbero quasi 2 miliardi di dollari.
Una gestione oculata delle risorse. Questi soldi, oltre che a gestire l’apparato burocratico, vengono oculatamente gestiti per supportare l’attività militare dell’Isis. A giugno, l’intelligence americana aveva riferito che l’esercito del Califfato era composto da 15 mila unità. Oggi, con Obama costretto a ripudiare il suo passato pacifista, la Cia ha riferito che in poco più di 2 mesi il numero è salito a quasi 31 mila unità. Ogni combattente è retribuito dall’amministrazione, per una cifra pari a 600 dollari al mese. Il Califfato è infatti l’unica formazione jihadista interamente composta da mercenari. Allo stesso tempo i soldi vengono impiegati per concedere alla popolazione pane, acqua e carburante. I blackout elettrici sono frequenti, ma la popolazione non si lamenta perché il cibo e il carburante non mancano mai e, soprattutto, hanno un prezzo decisamente più basso che in passato.
Un esercito poco strutturato, ma coeso. 31 mila miliziani non sono pochi, ma non abbastanza per essere all’altezza di un vero esercito nazionale. Non a caso il Califfato sta continuando a reclutare nuovi elementi e solo a luglio sono stati ben 6 mila e 300 i reclutati, di cui circa tre migliaia provenienti dall’Occidente. Non c’è una vera struttura nell’esercito dell’Isis, che è composto principalmente da insorti: la maggior parte di esso è formato da fanteria leggera, dotata di armi individuali (Ak-47 e Ak-74 principalmente), mitragliatrici e mortai. Non hanno mezzi blindati, ma pick-up. Una milizia è costituita da un minimo di 30 a un massimo di 50 unità, perché il Califfo ha studiato che è il numero perfetto da gestire quando manca un’organizzazione militare complessa. L’Occidente ha pensato che l’esercito regolare iracheno non avrebbe avuto difficoltà, grazie al proprio equipaggiamento, a combattere contro un aggregato militare un po’ raccapezzato come quello dell’Isis. Invece i miliziani hanno avuto la meglio. I motivi sono da ricercare nella loro coesione: meno addestrati e armati, ma più uniti e intelligenti dal punto di vista strategico.
La strategia del successo. Proprio la capacità strategica è alla base dei successi militari fino ad oggi ottenuti dall’Isis. Il Califfato non si è mai mosso sul territorio siriano e iracheno senza sapere dove stava andando, cosa stava facendo e perché lo stava facendo. Le prime conquiste sono arrivate in zone fondamentali per le risorse idriche e agricole dell’Iraq. La regione del Ninive è quella da cui entra in Iraq il fiume Tigri, la provincia di Anbar è quella da cui entra in Iraq l’Eufrate: entrambe sono in mano al Califfato, che controlla così il 98% dell’acqua dolce irachena. Le dighe sono sempre state, per l’Isis, obiettivi strategici fondamentali. Lo Stato Islamico ha poi puntato alle regioni settentrionali perché sono quelle da cui proviene la maggior parte del raccolto di cereali: tra la provincia di Ninive e quella di Salaheldin arriva annualmente un terzo del raccolto di grano iracheno e il 38% di quello d’orzo.
Gli unici rischi del Califfato. Il Califfato rappresenta quindi uno degli eventi più incredibili della storia recente. In pochissimo tempo, un’organizzazione relativamente piccola è riuscita a creare una vera e propria forma statale, amministrata e gestita in modo quasi perfetto. Per questo motivo l’Occidente non è solo intimorito, ma anche spiazzato: non sa come gestire la situazione e dove colpire per tentare di mettere in ginocchio l’avversario. C’è la possibilità, però, che sia l’avversario stesso a mettersi fuori combattimento. L’applicazione ossessiva della sharia ad ogni aspetto della vita della popolazione, sul medio-lungo periodo, potrebbe ritorcersi contro al Califfato. Alcol e fumo sono vietati, le donne vedono i propri diritti ridotti al minimo, i parchi sono interdetti e i ladri vengono puniti in pubblica piazza con la legge del taglione: il fondamentalismo rischia di alienare una popolazione che, fino a poco tempo, era principalmente laica.