L’ora più buia di Francesca Volpi pediatra amorevole di Treviolo

In copertina, La Villa Volpi alla Roncola, dove è stata portata Francesca dopo la morte.
La dottoressa Francesca Volpi è morta lo scorso dicembre, nella clinica di Brembate Sopra dove era stata ricoverata da qualche tempo in seguito alla diagnosi di una malattia logorante. Sulle spalle, sessantacinque inverni e una vita spesa a prescrivere farmaci e a misurare la febbre ai piccoli cittadini di Treviolo, nel ruolo di una pediatra amorevole e scrupolosa. La sua recente scomparsa ha rispolverato la memoria che molti cittadini conservano di lei. Ricordi che ne elogiano la professionalità, ma che ne hanno messo a nudo anche alcuni dei suoi lati più bui, legati alle tristi vicende personali che la videro protagonista.
«Non sopporto le voci che hanno iniziato a circolare per il paese non appena si è saputo che era morta - racconta A.G., amica e conoscente della Volpi -. La gente non fa che sottolineare quanto fosse ovvia la sua morte, per via del problema con l’alcol, una dipendenza in cui era rimasta incastrata da anni a causa del dolore patito. Così infangano la sua memoria e tutto quello che di buono ha fatto». A.G. ha conosciuto la dottoressa nel 1984, quando da Bergamo decise di trasferirsi con la sua famiglia a Treviolo. «Quello è stato anche l’anno in cui sono diventata mamma. All’epoca, tuttavia, andare dalla pediatra o meno era una scelta personale. Per diversi mesi avevo deciso di farne a meno. Le amiche che avevo intorno insistevano, ma io restavo ferma sulla mia convinzione di poter fare senza. Finché un giorno, al supermercato, è stata lei a riconoscermi. Mi ha avvicinata, mi ha invitata a casa sua con mia figlia per capire insieme come affrontare lo svezzamento»
I pomeriggi che A.G. e Francesca hanno trascorso insieme nel castello della Roncola dove la pediatra viveva erano inizialmente semplici incontri formali. Ma ben presto le cose sono cambiate. «Passare il pomeriggio insieme, in compagnia...»