Sabato 10, alle 17

C'è la Michielin a Oriocenter (sul perché il nuovo album merita)

C'è la Michielin a Oriocenter (sul perché il nuovo album merita)
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«Ah, quella di X Factor...». Sì, Francesca Michielin è quella di X Factor, che ha vinto X Factor 5 (2011) per la precisione. Che è già qualcosa, visto che di molti altri vincitori del fortunato, almeno in termini televisivi, talent si sono perse le tracce. Come fossero finiti in un misterioso triangolo delle Bermuda musicale. Lei no, invece. Di lei se ne conosce l’esistenza e anche il potenziale. Spesso, però, ci si dimentica l’età. Perché a nemmeno 23 anni, la Michielin ha già fatto molto di ciò che fanno le nuove popstar della musica italiana: vincere un talent, venir lanciata nell’orbita mainstream, partecipare a Sanremo (2016, seconda con Nessun grado di separazione), essere definita la «versione italiana» di un sacco di giovani e talentuose artiste straniere. L’unica cosa che la differenzia, è anche la più importante: non essersi accontentata.

 

 

Il nuovo album. Il 12 gennaio è infatti uscito il suo nuovo album, 2640, e sabato 10 febbraio lo presenterà a Oriocenter, a partire dalle 17. Intanto 2640, il cui titolo è dedicato all’altezza a cui si trova Bogotà, «città in cui sarei voluta “scappare” prima di chiudermi in sala di registrazione per scrivere l’album», lo hanno già ascoltato in tanti. E piace. Chi si aspettava il solito compitino ha dovuto ricredersi: questo disco è l’emblema di quel genere che chi bazzica l’ambiente del variegato sottobosco musicale italiano ha ribattezzato “itpop”, cioè l’anello di congiunzione tra il pop italiano classico, già sentito e risentito, e quel mondo musicale ormai esploso che è l’indie.

Itpop. L’itpop trova oggi in Francesca Michielin la sua più piena realizzazione. Perché, a differenza di quei giovani cantautori che sono arrivati al grande pubblico passando per condivisioni social, etichette discografiche indipendenti (da qui il termini “indie”) e serate nei locali, lei a quel mondo ci è tornata. Ha contaminato la sua musica di quelle sonorità e quello stile per certi versi nuovo, abbinandolo all’esperienza più tipicamente pop dei suoi primi anni di carriera. Il risultato è, ad esempio, il brano di apertura dell’album, Comunicare, una canzone che starebbe meravigliosamente in un disco di Jovanotti. Anzi, proprio la canzone che manca nell’ultimo disco di Jovanotti. Oppure Tapioca, scritta a sei mani insieme a due colonne...»

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 17 di Bergamopost cartaceo, in edicola fino a giovedì 15 febbraio. In versione digitale, qui.

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