Le città che proteggono le persone dai sistemi di sorveglianza di massa
Quali e quante sono le informazioni raccolte dai sistemi di sorveglianza di massa? Come vengono gestite? Dove si trova il limite tra esigenze di sicurezza e privacy? L’allarme viene dagli Stati Uniti, dove sempre più sono le procedure federali che, in materia di immigrazione, impongono agli Stati di fornire informazioni sui propri cittadini, in un Paese dove chiunque entra ed esca dal territorio nazionale viene sottoposto a misure di identificazione che tracciano e estrapolano informazioni personali.
I santuari digitali. Per questa ragione molti municipi statunitensi stanno mettendo in pratica, in parziale contenimento delle direttive federali, politiche a tutela dei dati sensibili dei cittadini rispetto ai sistemi di sorveglianza e all’uso di informazioni personali. Un approccio che ha fatto definire queste città, tra le quali Chicago e Los Angeles, veri e propri “santuari digitali”, dove le amministrazioni stanno cercando di proteggere le comunità dalla crescente rete di sorveglianza, provando a definire quali dati vengono raccolti e come vengono utilizzati.
Anche l'Italia in questa direzione. In Italia siamo ancora lontani da questa pervasività nel monitoraggio delle informazioni dei cittadini, ma, visti i progressi della tecnologia biometrica e l’uso delle raccolte dati per la regolamentazione dell’immigrazione, scenari del genere potrebbero non essere così inverosimili nel futuro vicino. Oggi in Italia la videosorveglianza è lecita se legata a funzioni istituzionali o, quando sono gli enti privati a farne uso, dentro il limite degli obblighi di legge e sempre seguendo il requisito della necessità, ovvero in mancanza di altri strumenti. Negli Stati Uniti la politica è diversa. Per monitorare l’entrata e l’uscita delle persone, infatti, non bastano più foto e impronte digitali, ma si fa spesso uso di misure di riconoscimento dell’iride alle frontiere e si sta valutando l’introduzione del riconoscimento facciale negli aeroporti.
La guida per proteggere la privacy. La questione legata a come e quanti dati vengono raccolti è al centro delle politiche dei santuari digitali, che, se da una parte non possono rifiutarsi di eseguire disposizioni federali, dall’altra hanno un certo spazio di manovra per decidere come seguire queste regole. Per aiutarle a definire le strategie migliori per tutelare i dati dei cittadini senza rinunciare alle esigenze di sicurezza, alcuni istituti indipendenti stanno elaborando delle linee guida. La Sunlight Foundation, per esempio, ha creato un vero e proprio manuale per aiutare gli aspiranti santuari digitali a limitare le informazioni raccolte, proteggerle e rendere le procedure di selezione dei dati trasparenti.
Secondo la guida punto cardine è porsi un limite nella raccolta delle informazioni sensibili (come quelle legate all’identità religiosa), da recuperare solo in caso di estrema necessità e cercando di non lasciarne documentazione scritta. Qualora fosse comunque necessario registrarle, il livello di protezione dei dati deve essere molto alto, con la garanzia che le informazioni siano cancellate regolarmente. Chiaro il divieto di copiare i dati in database esterni oppure di affidarli a terzi. Altro punto molto importante da valutare, ricorda la Sunlight Foundation, è come scongiurare il rischio di attacchi informatici.
Per essere sicuri della bontà del processo e dell’efficacia delle forme di protezione dei santuari digitali, termina l’istituto statunitense, c’è una cosa che si renderebbe necessaria, ovvero la creazione di un organo super partes che possa monitorare tutte le attività. La vera protezione digitale, insomma, è ancora difficile, anche nei santuari digitali americani.