Trapiantati in montagna: Bergamo fa scuola, A spasso con Luisa
Mettersi in gioco per provare i propri limiti, riconoscendo magari le proprie paure, con la gioiosa volontà di condividere passione ed emozioni. È scattato domenica 8 aprile, per il quarto anno consecutivo, il progetto A Spasso con Luisa, promosso dall’Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII in collaborazione con il Club Alpino Italiano, sezione di Bergamo, e l’associazione Amici del Trapianto di fegato onlus. L’iniziativa (che gode dell’appoggio tecnico di Ottica Tironi) supporta il riavvicinamento alla normale attività sportiva di pazienti che hanno subito un trapianto d’organo ed è dedicata a Luisa Savoldelli (qui sotto nella foto), originaria di Gandino, morta nel 2014 a soli 51 anni dopo aver vissuto per oltre vent’anni con un fegato trapiantato ed aver apprezzato con entusiasmo l’andar per monti.
La gioia del ritrovarsi e un progetto serissimo. Si tratta di un’esperienza innovativa ed inedita, che va al di là del semplice ritrovarsi. Negli anni ha infatti ha assunto i toni di un rigoroso progetto scientifico, seguito con interesse a livello internazionale. Lo scorso gennaio al Palamonti è stato al centro di un convegno, mentre il prossimo 25 maggio sarà presentato a Vercelli in uno specifico corso di aggiornamento per personale sanitario. Decisamente emblematico il titolo scelto dagli organizzatori piemontesi: «Un passo dopo l’altro per restare, ancora, con i piedi per terra e la testa tra le nuvole. Un percorso attraverso le molteplici valenze dell’esperienza in montagna». Anima dell’iniziativa è Silvio Calvi, già presidente del CAI Bergamo e consigliere nazionale, trapiantato di fegato dal 2006. In un’attenta relazione, diffusa per annunciare la nuova esperienza 2018, ripercorre il senso di una sfida (vinta) e l’entusiasmo contagioso di un gruppo sempre più numeroso.
Un gruppo di persone speciali. «A spasso con Luisa – afferma – è la storia bella di un gruppo di persone speciali che si sono messe in cammino sulle montagne bergamasche per una serie di escursioni a partire dalla primavera del 2015. Di solito sulle montagne si trovano gruppi di amici, ragazzi, giovani, anziani, ma un gruppo selezionato solo perché hanno avuto un trapianto d’organo (cuore, fegato o rene) non si era ancora visto fino a quell’anno. Certamente non è la prima volta che una persona, dopo il trapianto, riprende una vita normale, continuando con le attività che ama. Sono anch’io uno di questi: ho avuto un trapianto di fegato nel gennaio 2006 e sei mesi dopo ero in Caucaso, lontano degli ospedali non appena il protocollo medico me lo ha permesso. Certo, non per tutti è così, perché in fondo un po’ di paura c’è sempre e si ha sempre il dubbio che l’esercizio fisico possa avere conseguenze imprevedibili sul proprio fisico. Magari per non rischiare si evita allora di fare qualsiasi sforzo, lentamente riducendo le proprie attitudini e capacità. Il sistema migliore per verificare le proprie capacità è mettersi alla prova e il Ministero della Salute ha avviato un programma intitolato Trapianti e sport per riportare il trapiantato all’esercizio fisico. A Bergamo, terra di montagna, ovviamente è nata una variante autoctona al programma ministeriale, facendo dell’escursionismo in montagna la molla per far scattare un programma originale».
Come veri atleti. Il progetto partì di fatto nel 2014 dall’amicizia che unì sui sentieri Silvio Calvi e Luisa Savoldelli, insieme sulle Orobie in diverse escursioni. Nel settembre dello stesso anno l’avvio della collaborazione con l’Ospedale Papa Giovanni XXIII, nel ricordo proprio di Luisa, morta prematuramente. «Il coordinatore dei trapianti, dottor Cossolini – spiega Silvio Calvi – ha condiviso l’idea ed ha coinvolto il servizio di Medicina dello Sport con il dottor Poggioli per trovare il modo di valutare innanzitutto l’effettiva possibilità fisica di fare sforzi e poi, a escursioni finite, di valutare con parametri clinici il possibile guadagno.
Non contento, ha poi segnalato l’iniziativa al servizio di Psicologia Clinica per valutare i risvolti psicologici dell’esercizio fisico lento e continuo, come l’andare in montagna. Il mio passato da presidente del CAI mi facilitava sia nell’individuazione di percorsi adatti che nei contatti con i rifugisti per ottenere il massimo supporto. Gli amici della Commissione medica del CAI si sono aggiunti nel sostegno all'iniziativa. Lo schema del programma è stato quindi quello di avere un’escursione ogni 15 giorni, con possibilità di recupero nella domenica intermedia in caso di maltempo. I percorsi sono stati con difficoltà progressive dai primi, con 400-500 metri di dislivello, agli ultimi con 1.000 metri secchi di salita e discesa. Pranzo sul posto ospitati nei rifugi che sezioni e sottosezioni del CAI e associazioni varie hanno ormai moltiplicato a dismisura sui nostri monti.
Le visite mediche presso la Medicina dello Sport hanno trasformato i trapiantati in veri atleti: i test da sforzo quelli sul sangue, i colloqui con lo psicologo ed i focus group. Emozionante la prima uscita, organizzata coinvolgendo la famiglia di Luisa e andando al pizzo Formico e al rifugio Parafulmine sopra Gandino: per alcuni addirittura la prima salita su una cima, non essendo mai andati in montagna in assoluto: guardavo il modo di camminare di tutti e mi chiedevo: ce la faranno? La discesa ha cominciato a fare le prime vittime con le vesciche e il male ai muscoli, ma il gruppo ormai si era formato e compattato, con un mix di trapiantati e di accompagnatori, familiari, medici e infermieri interessati all’esperienza».
«Sotto l'aspetto psicologico, al di là di quello che i medici hanno potuto rilevare – conclude Calvi – il risultato è stato positivo al 100 per cento. Il primo anno, uno dei partecipanti, felice di aver superato le prove, ha voluto chiedere ai medici dello sport addirittura l'idoneità alla pratica sportiva agonistica, a testimonianza dell'effetto benefico dell'esperienza. Tutti hanno confermato di voler continuare individualmente con le escursioni. Dopo la prima esperienza del 2015 il programma ha dilatato i suoi orizzonti : da 13 i partecipanti sono diventati 18 nel 2016 e 25 nel 2017».
Il programma 2018. Domenica 8 aprile l’esordio lungo i sentieri Val Gandino, tanto cari a Luisa Savoldelli, ha visto presenti 18 trapiantati, con un gruppo complessivo di escursionisti che ha raggiunto gli oltre 40 partecipanti. In prima fila naturalmente anche i parenti di Luisa Savoldelli, a cominciare dai fratelli Roberto e Fabio, con un ricordo per papà Mario, morto lo scorso anno. Il 22 aprile i trapiantati saliranno al Rifugio Resegone, mentre il 6 maggio è in programma l’escursione al Rifugio Capanna 2000. Il 20 maggio toccherà al Rifugio Balicco, nuova realtà in Alta Val Brembana, mentre il 3 giugno sarà la volta della Baita Cardeto. Il 17 giugno escursione al Rifugio Laghi Gemelli, mentre nel fine settimana fra 30 giugno e 1 luglio l’uscita di due giorni sulle Dolomiti, con pernottamento al Rifugio Segantini. Per informazioni sono disponibili Gianni Alfieri (Ospedale Papa Giovanni XXIII Segreteria A torre 4 – da lunedì a giovedì dalle 8 alle 12) oppure gli indirizzi mail silviocalvi@tin.it e giannyalfieri@hotmail.it