Il racconto in prima persona

Pessina e le ceneri dell'amico consegnate al vento del deserto

Pessina e le ceneri dell'amico consegnate al vento del deserto
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Un’impresa sportiva davvero per pochissimi, in uno scenario estremo come il Sahara marocchino (tra Algeria e Marocco), portando nel cuore e nella mente il ricordo dell’amico Dario Consoli detto «il Gladiatore», anche lui corridore, scomparso soltanto qualche settimana prima. A portarla a termine il 56enne azzanese Angelo Pessina, ex-poliziotto, in grado di ottenere un certificato di finisher nella prestigiosa Marathon des Sables (Mds, ovvero la Maratona delle Sabbie, competizione a cadenza annuale ed istituita nel 1986), un ultratrail di circa 250 chilometri da percorrere in una settimana e in completa autosufficienza alimentare. A parlarcene è proprio il protagonista, che per la cronaca ha strappato il novantunesimo posto su 960 arrivati (colto il suo obbiettivo agonistico di rimanere tra i primi cento), nonché il primo piazzamento tra i master oltre i 55 anni e il quarto tra gli italiani partecipanti, il tutto con un tempo rilevato di 30 ore e 43 minuti.

 

 

Un'amicizia speciale. Pessina si sofferma in primo luogo sulla nascita di questo progetto sportivo, legato a doppio filo a un’amicizia speciale: «Era stato lo stesso Consoli a convincermi a partecipare a quest’impresa, dopo l'esperienza comune dell’Oman Desert Marathon nel 2017: per mia attitudine avrei virato su competizioni di altro tipo. Dario era un grande uomo, una persona buona con tutti e un eccellente professionista nel suo ambito lavorativo: era infatti un dirigente di Banca Mediolanum e lavorava nella sede centrale di Basiglio nel quartiere di Milano 3, pur risiedendo a Ponte San Pietro. Il lavoro lo portava a spostamenti continui e frequenti, eppure trovava il tempo di andare a correre più volte a settimana, spesso a fianco del sottoscritto. Proprio lui, grazie anche alla conoscenza delle lingue straniere, aveva curato la nostra iscrizione a questa 33esima edizione della Marathon des Sables: dovevamo peraltro giungere sul posto un giorno prima per acclimatarci. Io ero appena tornato da un mese di allenamento alle Isole Canarie; ci eravamo visti per una corsetta di una ventina di chilometri, passando per Città Alta, con la promessa di risentirci di lì a pochi giorni. Purtroppo però, quarantadue giorni prima della partenza, più precisamente il 22 febbraio, il suo cuore ha smesso di battere e Dario è morto nel sonno: i pettorali ufficiali di gara erano freschi di stampa, e il suo numero era lì ad aspettarlo, pronto per essere indossato con orgoglio». La fatalità ha inevitabilmente rivestito questa avventura di un sapore particolare, di un forte risvolto emotivo: «Al termine dell’ultima tappa ho infatti disperso nel vento del deserto le ceneri del mio amico, dopo averle nascoste nello zaino per tutta la durata della maratona e durante il volo aereo di andata».

 

 

La preparazione. Ovviamente, quando si affrontano sfide così estreme e logoranti, la preparazione deve essere studiata nei minimi dettagli e svolta al meglio, ma imprevisti e difficoltà non mancano di certo: «La mia preparazione è iniziata sei mesi fa, verso ottobre; da gennaio, invece, ho iniziato con una specifica integrazione sportiva. Sotto questi aspetti tutto si è svolto alla perfezione grazie alla competenza del dottor Nicola Valerio, cardiochirurgo dell’Humanitas Gavazzeni di Bergamo, che ringrazio di cuore; fondamentale anche il sostegno del dottor Bruno Sgherzi e di mia moglie Rosa Cilia. Valerio mi ha seguito negli ultimi cinque mesi prima della gara, curando sia l’integrazione che l’alimentazione specifica: mi ero affidato a lui con successo anche per preparare la maratona in Oman. Anche dal punto di vista della preparazione atletica tutto è filato liscio, e infatti di problemi muscolari non ne ho avuti.

Incidenti di percorso. Tuttavia ho colpevolmente sottovalutato la sollecitazione dei piedi, che ho letteralmente “distrutto”. Le tappe si svolgono sì su deserti di sabbia, ma la maggior parte dei tragitti interessano pietraie e rocce scure, ovviamente roventi: ardue salite e ripide discese, insieme alla forte escursione termica, hanno infatti consumato le suole delle mie scarpe. Al checkpoint dei 56 chilometri della quarta giornata mi sono reso conto che qualcosa non andava: aprendo le ghette ho infatti trovato due grosse vesciche colme di sangue, che ho dovuto incidere e poi fasciare con del tape, peraltro poco adatto allo scopo. Così ho percorso i restanti chilometri di quella giornata (ben trenta) e della successiva (altri quarantadue) alternando camminata e corsa blanda: di fatto da lì in poi ho perso trenta posizioni in classifica, ma il pensiero di abbandonare la contesa non mi ha mai sfiorato: dovevo arrivare fino in fondo, lo dovevo a Dario, che già aveva tagliato quel traguardo due anni prima».

 

 

Una gara estrema. La Mds prevede cinque tappe, rispettivamente di 30, 41, 32 e 86 chilometri, a seguire un giorno di riposo e altri 42 nell’ultima. In ognuna ci sono ripide montagne da percorrere necessariamente, sia in salita che in discesa; si sale dritti, senza curve o tornanti, e nei tratti più complessi sono apposte corde e catene per reggersi meglio. «I maratoneti considerano questa gara come la più estrema: richiede infatti un’autentica prova di forza, fisica e atletica, ma anche un’imprescindibile durezza mentale», sottolinea Pessina, che si sofferma poi sui numerosi «portachiavi emozionali» lasciati in dote da questa avventura così totalizzante: «Di sicuro ricorderò per molto tempo il freddo pungente che riempiva le notti, passate coi compagni in sottili tende berbere: alle 20 tutti dormivamo già, poiché alle 5 di mattina gli addetti rimuovevano tutte le tende e la partenza era prevista per le 7.30. Per non parlare delle tempeste di sabbia, che in un’occasione ci hanno fatto volare via i giacigli: i granelli ci entravano nella bocca, nel naso e negli occhi, quasi ad azzerare i nostri sensi. A fronte di un’organizzazione comunque di ottimo livello (ogni partecipante è dotato di un vero rilevatore satellitare con la possibilità di contattare l’elisoccorso in qualsiasi momento), le ristrettezze sono notevoli: dall’acqua razionata ai beveroni, passando per il cibo liofilizzato, tutte cose a cui il fisico si abitua gradualmente, ma non senza difficoltà. Sicuramente indimenticabile l’arrivo serale della penultima tappa: alzare la testa e vedere la volta trapuntata di stelle, in lontananza il gonfiabile fosforescente dell’arrivo e intorno soltanto sabbia. Sembrava di camminare sulla luna: un’emozione indescrivibile. La prossima corsa? Non voglio di certo fermarmi qui: sto già studiando la prossima».

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