Harari, la spia israeliana che vendicò la strage di Monaco
Domenica 21 settembre è morto a Tel Aviv, a 87 anni, Mike Harari, la leggendaria figura dello spionaggio israeliano. Harari, attraverso la sua pluriennale attività nel Mossad, ha percorso tutta la storia dello stato di Israele, dalla sua indipendenza del 1948 fino ai più recenti sviluppi del conflitto con la Palestina. Un uomo misterioso, come conviene a chiunque decida di dedicare la vita alla sicurezza del proprio Paese.
Una giovanissima spia. Si dice che Harari già a 13 anni fosse un giovane collaboratore del Mossad: pare che abbia lavorato come agente di collegamento e corriere per permettere agli ebrei sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti di entrare (non proprio legalmente) nei territori palestinesi, allora controllati dai britannici. E quando lo Stato d’Israele non era ancora nato, già organizzava reti coperte di spionaggio a Roma, nell’Est Europa, in Africa. In quegli anni, raccontò, si salvò per un nulla da un tentativo d’avvelenamento del Kgb. La prima, grande svolta arrivò nel 1954: il Mossad lo arruolò ufficialmente, affidandogli la direzione di azioni di spionaggio internazionale in Europa.
Monaco 1972 e quello che seguì. La più celebre operazione della carriera di Harari, che lo terrà impegnato per oltre 20 anni, prese corpo in seguito ai tragici fatti delle Olimpiadi di Monaco nel 1972: nella notte fra il 5 e il 6 settembre, un commando di ignota composizione penetrò nel villaggio olimpico e sequestrò l’intera squadra israeliana, giustiziandola nelle ore successive; questa mattanza prese il nome di “Settembre Nero”.
Israele decise di porre in essere l’operazione “Ira di Dio”, un’azione vendicativa che aveva il solo scopo di rintracciare e uccidere i responsabili del massacro. La direzione fu affidata proprio ad Harari, che nei due decenni successivi permise l’eliminazione di dozzine di palestinesi e arabi coinvolti. Ma ci furono alcuni intoppi, uno dei quali, nel 1973, rischiò di mandare a monte l’intera operazione: il cosiddetto “Affare Lillehammer”, che portò alla morte, per uno scambio di persona, di un cittadino marocchino di nome Ahmed Bouchiki. A guidare il commando in Norvegia, che avrebbe dovuto invece colpire il leader di Settembre Nero Ali Hassan Salameh, era proprio Mike Harari, che nel 1999 venne sottoposto a processo per tale ragione. Nel frattempo però, nel 1979, durante un’operazione a Beirut in Libano, lo stesso Harari era riuscito a eliminare il vero Salameh. “Ira di Dio” raggiunse l’obiettivo prefissato e nel frattempo, nel 1976, Harari fu protagonista di un’altra incredibile azione: spacciandosi per un uomo d’affari italiano, riuscì a penetrare all’interno dell’aeroporto internazionale ugandese di Entebbe in mano da alcune ore a terroristi; effettuata una ricognizione, ottenne le informazioni necessarie per il successivo blitz dei militari israeliani che riuscirono a liberare gli ostaggi, tutti compatrioti.
Gli ultimi anni. Alla fine della sua carriera, Harari venne posto a capo della sezione del Mossad che si occupava dell’America Latina, prima di ritirarsi dalle attività operative. Ma in molti, affascinati dalla sua leggenda o semplicemente incuriositi da alcune “singolari” connessioni (come la sua presenza a Panama poco prima dell’invasione statunitense) sostengono che in realtà Harari non abbia mai smesso di lavorare per l’agenzia di intelligence israeliana. E a qualcuno piace immaginarlo impegnato a difendere il proprio Paese fino alla notte di domenica scorsa. E per chi si immagina un uomo freddo ed efficiente, questo aneddoto fornisce una curiosa testimonianza dello spirito di Harari. «Voglio dai miei uomini concentrazione assoluta e dedico a loro tutta la mia concentrazione», è sempre stata la sua regola. «Ma una volta, mi accorsi che un mio agente era così impegnato da dimenticarsi del suo anniversario di matrimonio. Lo lasciai lavorare. E ci pensai io: mandando un regalo e un mazzo di fiori alla moglie, a suo nome naturalmente. La signora non ha mai saputo».