Atene, non è solo colpa del fuoco

Questi sono i giorni più pericolosi per il rischio incendi: quelli in cui soffia il meltemi, un vento che ha addirittura un’ascendenza mitica (si sarebbe originato in seguito all’assassinio di Icario). È un vento secco e fresco che viene dall’area del mar Egeo ed è tipico dell’estate. Un vento che dove soffia senza protezioni lascia uno scenario brullo, come accade in alcune isole che sono per questo depresse dal punto di vista turistico.
Con il meltemi anche il minimo focolaio si trasforma in un rogo fuori controllo. È quello che sta accadendo in Grecia nella regione che circonda Atene. Era già accaduto nell’estate del 2007, con la Grecia sulla soglia della grande crisi: ben 2.500 chilometri quadrati di boschi andarono in fumo, tra l’Attica, il Peloponneso meridionale e l’isola di Eubea. Su quel deserto nero di cenere non sono ricresciuti alberi ma cemento. Infatti quel grande incendio che causò 77 morti ha dato il “la” ad un concentrato di strutture turistiche. Ovviamente sono cresciute a dismisura le presenze di vacanzieri: lo scorso anno si è toccato il record dei 20 milioni di visitatori, quest’anno si punta a 24.
Quello a cui stiamo assistendo in questi drammatici film è la replica di quanto accaduto nel 2007? Allora gli incendi che si scatenarono simultaneamente furono sette. Questa volta le detonazioni sono state ben 47 e tutte simultanee. Il che fa pensare che ci sia stata un’escalation organizzativa da parte di chi avrebbe pianificato questa tragica operazione: dal ricorso al solito piromane prezzolato si è passati a soluzioni di alta tecnologia. Fonti militari elleniche hanno ventilato l’ipotesi che siano state usate mini mine da far esplodere con timer agganciato a un semplice cellulare. «Sono bruciati terreni boschivi e coltivati, uno dopo l'altro, e questo dimostra che è impossibile dire che gli incendi siano casuali», hanno spiegato le autorità. Anche il premier Alexis Tsipras, che mercoledì è rientrato subito dalla visita in Bosnia e ha visitato il centro di coordinamento dei vigili del fuoco greci, non ha escluso che tutti gli incendi che hanno seminato morte e distruzione nella regione dell’Attica, possano essere anche parte di un piano di destabilizzazione.
Inoltre la Grecia fa i conti anche con l’impoverimento causato dalla crisi. Le strutture di prevenzione sono risultate palesemente inadeguate come nel caso di Màti, la località letteralmente annientata dalle fiamme. Come in tante altre località coinvolte in questa tragedia non erano stati testati e aggiornati in modo adeguato i piani di evacuazione. Così la popolazione è rimasta prigioniera di una griglia di vie strette che si sono trasformate in una trappola infernale. La Grecia, costretta dalle autorità finanziarie ad un piano di austherity drastica, aveva tra le altre cose tagliato il corpo dei Vigili del Fuoco. A migliaia a febbraio del 2017 avevano manifestato ad Atene perché la fine dei contratti a termine stava riducendo il loro numero da 12 mila a 8 mila. Dopo queste proteste ci sono state delle riassunzioni. Come rivela Federico Fubini sul Corriere della Sera l’area della sorveglianza antincendio ha perso 34 milioni di euro, distribuiti fra il personale e i mezzi.
E non finisce qui: un gruppo di ricercatori guidati da Fotis Chatzitheodoridis stava pubblicando proprio in questi giorni uno studio sui pompieri del loro Paese per una rivista internazionale di nutrizione. Risultati: il 79 per cento fra gli addetti delle squadre antincendio risultava sovrappeso o obeso, due su tre confessavano di essere passati negli ultimi anni ad alimenti meno sani a causa dei tagli ai salari. Il ritardo negli interventi e l’impreparazione sono figli anche di questa lunga crisi. Se la Grecia brucia non è solo colpa del fuoco.