È morta a 73 anni

Rita Borsellino, sorella e madre

Rita Borsellino, sorella e madre
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Se ne è andata con quel suo sguardo da donna di altri tempi, i capelli bianchi, e un’eleganza signorile sempre così curata. Se ne è andata una rivoluzionaria gentile, ultima di quattro fratelli, che sino a quel 19 luglio 1992 aveva vissuto la sua carriera di brava e solerte farmacista. Quel giorno la mafia ammazzò suo fratello Paolo, magistrato, e per lei iniziò, quasi d’istinto, quasi per una chiamata, tutta un’altra vita. Si dovesse definire quella chiamata, la si potrebbe dire una chiamata di tipo materno.

 

 

La Carovana Antimafia. Rita, che era già mamma di tre figli, avvertì che aveva davanti a sé una generazione, nella sua terra, sperduta e senza speranze per il futuro. Bisognava dare loro tutto, dalla passione, alla convinzione di poter uscire da quella cappa nera della rassegnazione. Iniziò proprio da qui, da una proposta di un cammino che era di mobilitazione e anche educativo. La sua idea della Carovana Antimafia, poi adottata da Libera, l’organizzazione lanciata da don Ciotti, è stata l’invenzione della cosa che non c’era ma che tutti auspicavano nascesse. Un successo numericamente clamoroso, che chiamava in modo informale decine di migliaia di giovani ad uscire allo scoperto, a metterci la faccia. A far vedere al potere oscuro che ancora controlla tante parti del territorio siciliano, che loro c’erano, e che con loro stava nascendo una generazione diversa. Rita era la mamma di tutti loro. Il riferimento che dava la sicurezza di essere sulla strada giusta per immaginare un futuro diverso.

Il movimento non si limitò alle mobilitazioni. Lanciò anche idee che sono diventate leggi: come quella sull’uso a scopo sociale dei beni confiscati alla mafia. È una legge intelligente che non si limita a punire i mafiosi, ma favorisce la nascita di organizzazioni nuove, fornendo loro punti di appoggio, sedi in cui avviare attività economicamente libere dai ricatti della criminalità.

 

 

La politica. Rita poi non si è fermata lì. Ha pensato che quel movimento avesse bisogno anche di una rappresentanza diretta in politica. Così decise di scendere in campo, su una sponda politica che era opposta a quella del suo amato fratello Paolo (che in gioventù era stato simpatizzante della destra). Scese in campo nel 2006, per la presidenza della Regione Sicilia. Doveva sfidare il presidente uscente, il potente Totò Cuffaro. Fu una corsa per tanti versi entusiasmante, lanciata con uno slogan diventato virale (anche se i social ancora non c’erano): «Curriti, curriti, cu’ Rita». «È riuscita a diventare a 60 anni», scrisse di lei Gian Antonio Stella nel libro Avanti popolo, «la Giovanna d’Arco, argentea ma salda, bella e gentile, di tutta la sinistra: tutta, dai rifondaroli ai verdi movimentisti, dai cossutiani ai diessini, fino ai no global».

In realtà le cose andarono diversamente. Rita non vinse anche se ottenne un ottimo risultato: oltre un milione di voti, record per la sinistra nell’isola. Ma se non vinse è perché trovò tanti veleni proprio a sinistra. Tanto che quando due anni dopo Cuffaro fu costretto alle dimissioni, da Roma imposero che a scendere in campo fosse Anna Finocchiaro e non Rita Borsellino. Fu un disastro che permise a Raffaele Lombardo di prendere la presidenza.

Ora Rita se n’è andata. E oggi i suoi ragazzi la piangeranno nella camera ardente allestita in uno degli immobili confiscati alla mafia dove lei ha fondato il Centro studi Paolo Borsellino.

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