Vincino: «Siamo cornuti e ottimisti»

«Siamo cornuti e siamo ottimisti, e abbiamo ancora un sacco di disegni da fare». È stato per una vita il refrain di Vincenzo Gallo, detto Vincino, il più libero e il più imprevedibile dei vignettisti italiani. Vincino è morto ieri a Roma. Aveva 72 anni, da tempo lottava con la malattia, ma sino all’ultimo ha mantenuto fede a quel suo refrain: ha mandato una vignetta delle sue per il Foglio. «Comunque sarò il prossimo James Bond (di sicuro)» ci sta scritto, con la consueta capacità di ironia e soprattutto di autoironia.
Nel panorama della satira italiana Vincino ha occupato un posto a sé stante, proprio perché ha saputo restare fedele alla sua anima anarchica, antigiustizialista e trasversale. Ed è stato assolutamente impermeabile alla saccenteria di tanti suoi colleghi di successo che vantavano lo stare al di sopra delle parti. Per usare un termine teatrale, Vincino è stato uno “scarrozzante” della satira. Con il suo tratto tremolante e quasi volutamente infantile si offriva ai lettori con una candidezza che spiazzava. Da lui potevi accettare tutto, perché sapevi che anche nelle sue battute più feroci in realtà c’era sempre un’accondiscendenza di fondo, una simpatia umana per tutti, compresi i suoi bersagli.
Era siciliano e nella sua vita artistico-giornalistica ha sempre amato la libertà che gli concedevano gli strumenti d’informazione più piccoli e magari più marginali. Aveva cominciato nella sua Palermo al quotidiano L’Ora. Poi a metà degli Anni Settanta si era trasferito a Roma che da allora è sempre stata la “sua piazza”. A Roma è stato promotore insieme a Vauro del Male, un settimanale di satira che ha segnato una stagione italiana e che è arrivato a vendere 160mila copie. Fece copertine che hanno segnato la storia, come quella in occasione della morte di Giovanni Paolo I, dove sulla grafica di un giallo Mondadori aveva messo il titolo Il Papa avvelenato. Tra le false prime pagine dei giornali è diventata celebre quella di Paese Sera: «Arrestato Ugo Tognazzi. È il capo delle Br». Erano gli anni in cui si cercava affannosamente di tracciare l’identikit del grande vecchio che teneva le fila del terrorismo in Italia e Vincino l’aveva risolto così…
«Io di natura sono buono», diceva di sé, «ma i giornali mi piace farli con i cattivi. I satirici si riconoscono tra loro come adepti di un mistero sregolato e un po’ matto, libero ed essenziale». Forse è per questo che dopo aver navigato tra tante testate italiane (tra le quali Il Corriere della Sera e anche un settimanale cattolico e corsaro come Il Sabato) alla fine ha scelto di prendere casa al Foglio del suo amico Giuliano Ferrara. Sul Foglio per oltre vent'anni ha proposto le sue scorribande, senza mai chiedere spazi speciali, ma godendosela quasi a far da riempitivo nei posti più improbabili delle pagine. Sbucava con il suo segno arruffato come se mettesse fuori la testa da una cantina nella quale se ne stava a lavorare e a gettare sguardi geniali sulle cose del mondo. Non aveva mai una verità in tasca, un punto di vista superiore. Il suo era il punto di vista di chi resta sempre un outsider. Diceva del suo lavoro: «E poi che vuoi? Riflettere su se stessi, indagarsi, indagare? Un disegnatore di satira deve lasciarsi vivere. Deve disegnare».