Scoperto il killer delle api È un batterio con un brutto nome
«Se le api si estinguessero, all’uomo resterebbero quattro anni di vita». È una frase che potrebbe far sorridere, ma non se si considera che a pronunciarla fu un certo Albert Einstein. Ironia della sorte, questi insetti stanno rischiando di estinguersi da qualche anno a questa parte: le api sono diminuite addirittura del 50 percento. Le cause di questa ecatombe sono innanzitutto ambientali, dovute ad ingerenze dell’attività umana, a cambiamenti climatici, alla presenza di numerosi antagonisti naturali, all’uso eccessivo di fitofarmaci.
Nel nostro Paese la situazione è particolarmente delicata: solo nel 2007 il numero di api è dimezzato, sono andati perduti 200mila alveari, con danni al settore agricolo di circa 250 milioni di euro. Ciononostante, è proprio dall’Italia che arrivano buone notizie: una ricerca compiuta dall’università di Firenze e coordinata da Rita Cervo, ricercatrice di zoologia del Dipartimento di Biologia, sembrerebbe aver colto l’origine di una delle principali cause di questa nuova estinzione di massa. Sarebbe colpa di alcuni batteri naturali.
[Ape attaccata da una Verroa]
La strategia d’attacco della Varroa Destructor. Si tratta di un acaro parassita, chiamato varroa destructor, il quale sembra essere particolarmente sensibile all’odore emanato dalle api, in particolare alla miscela di idrocarburi che riveste il corpo dell’insetto; quest’attrazione porta il parassita a prosperare negli alveari, dove in pochissimo tempo è in grado di causare la morte di decine di migliaia di insetti.
Questa dinamica è stata attentamente studiata in laboratorio dal team fiorentino: i ricercatori hanno prelevato da arnie, con differenti livelli di infestazione, alcune centinaia di api e varroe e osservato con test in laboratorio che la strategia del parassita variava a seconda del grado di infestazione dell’arnia di provenienza. In quelle a basso tasso di parassitismo, la varroa sceglie le api nutrici, garantendosi nuovi cicli riproduttivi, nelle altre attacca indifferentemente le api nutrici e bottinatrici. Queste ultime, fuoriuscendo dall’alveare, permettono agli acari di abbandonare la colonia prima che collassi. Alla base del piano d’azione della varroa ci sarebbe proprio il “fiuto”. In colonie altamente infestate, la miscela di idrocarburi di api nutrici si sovrappone a quello delle bottinatrici, non permettendo più agli acari di discriminare tra le due categorie di insetti. Quelle appena descritte sono analisi particolarmente importanti, perché permettono di comprendere l’azione di questo parassita; la sfida ora è trovare un modo per annientare la varroa, o perlomeno neutralizzarne gli effetti nocivi.
Un impatto anche economico. Oltre alle - a quanto pare catastrofiche - conseguenze ecologiche che potrebbero verificarsi in caso di continua diminuzione del numero delle api, vi sono anche diversi dati economici che spingono il mondo della ricerca a dedicarsi con particolare vigore al reperimento di soluzioni immediate. Vi è anzitutto il mercato legato alla produzione e vendita di miele: per fare un esempio, il principale produttore mondiale di questo nettare, l’Argentina, ha dovuto ridurne del 27 per cento la produzione annuale, che si aggirava intorno alle 75mila tonnellate, con perdite di guadagni non indifferenti; e ancora, negli Stati Uniti si è verificata una diminuzione del numero di alveari del 25 per cento, generando un importante crisi del settore dell’apicoltura e agricolo in generale. Senza considerare l’importanza che questi insetti rivestono nella coltivazione della frutta e della verdura, grazie alla loro mansione naturale di impollinatrici e di tutrici degli equilibri naturali: in Inghilterra, ad esempio, le api contribuiscono all’economia agricola per 165 milioni di sterline l’anno. Tanti quindi i motivi, sia ecologici che economici, che devono spingere a un cambio di rotta immediato sull’argomento. D’altra parte, Einstein ci aveva avvertiti già 60 anni fa.