Dove andremo a finire

Perché politici e media non parlano del cambiamento climatico in corso

Perché politici e media non parlano del cambiamento climatico in corso
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Quando l’8 ottobre l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha pubblicato il suo rapporto di lavoro, i risultati sono stati tutt’altro che incoraggianti. Dal confronto tra i rappresentanti di 195 Stati è emersa una situazione allarmante, quella di un pianeta dove la concentrazione di gas serra e il procedere del riscaldamento globale sono senza precedenti. Se non riusciremo a limitare entro il 2050 di 1,5 gradi le temperature, milioni di persone potrebbero essere esposte a pericolose ondate di calore, i ghiacciai a un rischio di scioglimento dieci volte superiore a quello attuale, mentre la siccità potrebbe mettere seriamente a rischio enormi zone coltivate, provocando anche la distruzione di ecosistemi come quelli dello barriera corallina. Senza parlare, poi, delle milioni di persone che nel giro di pochi anni potrebbero vedersi costrette a emigrare.

 

 

Gli obiettivi dell’accordo di Parigi del 2015, con il quale, dopo la COP21, i più grandi giganti mondiali avevano deciso di impegnarsi per contenere l’aumento delle temperature al di sotto dei 2 gradi, sembrano ormai fuori portata, soprattutto per quanto riguarda il dimezzamento dei gas serra, allora considerato raggiungibile in dodici anni. La verità è che rapporti come quello dell’IPCC, che mirano a mettere in guardia sulle conseguenze di un innalzamento della temperatura, non sembrano essere ascoltati nonostante le conseguenze di una tale negligenza potrebbero avere impatti enormi sugli ecosistemi mondiali e sulla salute umana.

La domanda, allora, sorge spontanea: perché stiamo lasciando che accada tutto questo? I cambiamenti climatici non entrano nell’agenda politica perché non se ne parla abbastanza, perché è un argomento che sembra non importare ai giornalisti, e che, di conseguenza, non arriva ai cittadini in tutta la sua gravità. Se le persone sono tenute all’oscuro di questa minaccia è, per forza di cose, molto difficile per un politico prendere decisioni, che risulteranno altamente impopolari, per far fronte a un problema che non viene percepito come tale. Ma perché i giornalisti non ne parlano abbastanza? I direttori delle testate sostengono che il cambiamento climatico non sia un tema che fa vendere i giornali, un’affermazione che avrebbe come diretta conseguenza l’ammissione che giornalismo e interesse pubblico non vanno di pari passo, una riflessione che ha portato già notevoli cambiamenti, fino alle decisioni di alcune testate di rivoluzione la gestione delle informazioni su alcuni temi. Così, ad esempio, il Guardian ha lanciato da qualche anno una sezione sull’ambiente, tema al quale il New York Times dedica invece una newsletter. Che il cambiamento climatico sia percepito come un concetto astratto, legato a informazioni che si “ripetono nel tempo” e delle quali si perde quindi la gravità, fa sì che sia sempre più difficile prendere decisioni per prevenire un danno imposto alle generazioni future. L’unica speranza è che, partendo da queste valutazioni degli esperti, venga fatto uno sforzo a livello istituzionale, con accordi intergovernativi che permettano di evitare la catastrofe ambientale.

 

 

I governi, però, sono disposti a compiere radicali trasformazioni in nome di una minaccia che sembra ancora troppo astratta da poter occupare l’agenda politica? Saranno pronti a compiere scelte coraggiose in materia di trasporti, edilizia e agricoltura? Come si potrà giustificare di fronte all’elettorato una linea di condotta che guarda al lungo termine, scegliendo strade in questo momento impopolari? Quello che è chiaro è che tutte le misure necessarie per evitare la catastrofe ambientale porteranno risultati solo se inserite in un’ottica di lungo periodo, in un ripensamento generale del sistema dei trasporti, con un passaggio alla mobilità low carbon, alimentata con energie rinnovabili, che potrebbe, finalmente, provocare una significativa diminuzione delle emissioni.

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